F. Segni Pulvirenti-A. Sari, Architettura tardogotica e d'influsso rinascimentale, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, Ilisso, 1994, sch. 27, 83: Cappella della Vergine delle Grazie (1472-78) - Sassari, chiesa di S. Pietro di SilkiRisale al 1467 la concessione del monastero di S. Pietro di Silki, da parte dell’arcivescovo Antonio Cano e della municipalità sassarese, ai Minori osservanti, che probabilmente l’occupavano già dal 1425. Lo storico dell’Ordine L. Wadding nel 1622 riferisce di lavori di ristrutturazione del convento avviati nel 1464; nei decenni successivi, alla chiesa romanica vennero inne state alcune cappelle gotiche. La più interessante, quattrocentesca, è la prima a sinistra, dedicata a Nostra Signora delle Grazie, intitolazione che acquistò una tale rilevanza da divenire l’appellativo della chiesa, prima dedicata a S. Pietro, che viene così menzionata in atti municipali e capitolari dal 1501. La cappella fu probabilmente edificata dopo il 1472, anno in cui è documentata a Sassari la presenza di S. Giacomo della Marca, che potrebbe aver donato al convento il simulacro ceramico quattrocentesco della Vergine delle Grazie, di provenienza nordica e affine alle “Belle Madonne” boeme e renane della prima metà del XV secolo, ed entro il 1478, anno della morte dell’arcivescovo Cano, cui sembra possa riferirsi lo scudo araldico nel capitello destro dell’arco d’ingresso. All’esterno la cappella figura come una modesta aggiunta al fianco della chiesa, cui venne addossato, nel XVII secolo, un secondo corpo di fabbrica che ospitava la sepoltura del barone di Usini, don Jayme Manca. All’interno la pianta leggermente rettangolare e la moderata altezza danno l’idea di un volume cubico, accentuata dalla volta elasticamente tesa dagli archi della crociera. L’arco d’ingresso a sesto acuto poggia su pilastri a fascio, secondo le fogge diffuse in Catalogna dalla fine del XIII a tutto il XIV secolo, con colonna centrale su alto basamento e voluminos i capitelli figurati che rivelano influssi franco-borgognoni, diffusi in Catalogna e Castiglia nella seconda metà del XV secolo e rilevabili a Sassari anche nelle cappelle quattrocentesche della S. Maria di Betlem. Gli ignoti artisti locali operarono probabilmente su precisa indicazione dei frati che vollero rendere omaggio alla Vergine, di cui è raffigurata l’Annunciazione, ai SS. Pietro e Paolo – patrono della chiesa il primo e, forse, in ricordo del pontefice Paolo II che autorizzò il loro insediamento, il secondo –, all’arcivescovo Cano, ad un ignoto personaggio, cui allude lo scudo araldico con un albero affiancato da un leone e sormontato da un’aquila, e ad un Meloni, rappresentante della municipalità (forse Cambio Melone, consigliere capo nel 1478). Le figurazioni scultoree possono leggersi come volgarizzazione di eventi della storia sacra e della cronaca del tempo, attuata con spirito popolaresco e un’esecuzione che predilige i contorni netti e i marcati chiaroscuri, evidenziando un grezzo plasticismo e una particolare attenzione ai dettagli. La singolarità dei capitelli, rilevata già da E. Costa (1937), interessò C. Maltese (1962) che trovò in essi un «carattere appena copertamente beffardo» e analogie con quelli del S. Giorgio di Perfugas e del S. Andrea di Sedini, più tardi. La gemma della crociera, circondata dal cordone francescano che orla anche gli scudi araldici dei capitelli, reca scolpita una Madonna col Bambino secondo il modello delle Maestà gotiche già in S. Maria di Betlem.
San Pietro di Silki (1580-1677) Sassari
L’ampliamento del convento di S. Pietro di Silki – “nunc amplissimum”, a detta di G. F. Fara (1585) – fu avviato negli ultimi decenni del XVI secolo e si concluse attorno al 1641, data incisa sull’architrave della porta di accesso al chiostro. Nelle strutture conventuali, esemplate secondo il modello canonico di origine benedettina, sono ancora riconoscibili elementi del XVI-XVII secolo, cui si sono sovrapposte le integrazioni risalenti soprattutto all’Ottocento, quando il convento venne trasformato in ricovero per anziani. In origine il chiostro era costituito da una doppia serie di arcate a tutto sesto, più ampie al piano terreno e ad intervalli ravvicinati al piano rialzato, con cornice di coronamento che attualmente separa il primo dal secondo piano, superiore. Il portico è di larghezza doppia nel lato adiacente alla chiesa, dove l’ampio corridoio è diviso in due navate da pilastri, con quattordici piccole campate voltate a crociera. Sopravvivono, in alcune stanze del piano terreno, le originali volte a crociera con peducci tardogotici a tronco di cono, simili a quelli del S. Agostino. Nello stile sincretistico del periodo è il cosiddetto Corridoio dei maestri, al secondo piano, coperto da piccole volte a crociera che scaricano su mensole laterali di foggia rinascimentale, sul quale si affacciano le porte delle celle, caratterizzate dall’arco marcatamente inflesso tipico del Tardogotico catalano e dai minuscoli capitelli intagliati, simili a quelle dell’Archivietto del duomo di Oristano (1622-27). L’eclettismo caratterizza il bell’arcone votivo a sesto fortemente ribassato, datato 1642, decorato con motivi spiraliformi ed il cordone francescano nell’estradosso, sormontato dallo stemma dell’Ordine, in cui un repertorio classicistico si coniuga col gusto dell’intaglio locale. Rispondono, invece, ai canoni tardorinascimentali, pur nella loro ingenua stilizzazione, i due portali del convento, che riprendono il modello inaugurato dalla chiesa di S. Agostino a Cagliari (1577-80) e presente a Sassari nella chiesa di Gesù e Maria. Il portale che introduce alla sala del refettorio, ricostruita nell’Ottocento in seguito ad un crollo, mostra un’accentuazione degli elementi strutturali già manieristica nei piedritti sproporzionatamente alti e nella doppia trabeazione con cornici marcate in corrispondenza dei capitelli. Prima della trasformazione delle coperture e della zona absidale della chiesa, nella prima metà del XVII secolo vennero modificate, e in alcuni casi ampliate, alcune cappelle innestate alla navata romanica dall’ultimo quarto del XV secolo. In particolare, alla cappella della Vergine delle Grazie venne aggiunta una campatella per ospitare il monumento funebre del barone di Usini Jayme Manca, morto nel 1632, fatto erigere dalla vedova Isabella di Castelvy, e la cappella di S. Salvatore da Horta fu prolungata con l’aggiunta di un corpo absidat o e voltata a botte lunettata su cornice modanata e aggettante, attorno al 1672, data segnalata negli atti del convento anche per i lavori relativi alla navata che fu anch’essa voltata a botte, con finestre rettangolari nelle lunette, su cornice ornata da un fregio a dentelli. Col lascito di 1.125 lire nel 1677 da parte del cagliaritano Antonio Mereu, assessore al civile, si edificarono la facciata porticata e il coro soprastante l’atrio. La facciata della chiesa è partita in due ordini, secondo un rapporto di 2 a 1, da una cornice marcapiano retta da quattro paraste, le angolari più larghe, che delimitano tre specchi rettangolari con tre arcate, di cui aperta solo la centrale, nel primo ordine, e tre finestre rettangolari, con timpano triangolare le laterali, nel secondo. Il coronamento è curvilineo come nella chiesa gesuitica di Gesù e Maria. Fregi rinascimentali ad ovoli, sferule e dentelli ornano le cornici; nel coronamento l’anamorfosi dei dentelli rivela l’attenzione agli effetti prospettici mentre lo stemma del Mereu ha caratteri tardomanieristici nel bel fregio fitomorfo e nel mascherone. Si tratta di un tardo frutto del Manierismo severo di impronta herreriana che, importato a Sassari con le fabbriche gesuitiche, informerà anche la seriore facciata della chiesa di Gesù Giuseppe e Maria delle Cappuccine (1695) e diverrà prototipo per numerose chiese dell’Ordine, dalla vicina Sorso alla più distante Santulussurgiu.