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Gairo :: Paese dell'Ogliastra famoso per il Tacco " Perda 'e liana" e le sue meravigliose spiagge Coccorrocci e Su Sirboni.

Località Sarde > Ogliastra


Gairo, Perda 'e Liana innevata.
Marina di Gairo, Coccorrocci.

Gairo
Il paese ha origini recenti, fu infatti intorno agli anni Cinquanta che gli abitanti del vecchio centro abitato, distrutto da un alluvione, costruirono il nuovo paese più a monte, dando vita a Gairo Sant'Elena. La zona è ricca di attrattive naturali come "
Perda 'e liana" e "Taccu isaira", la grotta di "Sa rutta 'e su marmu" e quella di "Sa rutta 'e is ossus". Il suo territorio è infatti ricco di grotte naturali e di una fauna assai ricca e varia.

Abitanti: 1.680
Superficie: kmq 78,82
Municipio: via della Libertà, 7 - tel. 0782 760000 - 760001
Cap: 08040
Guardia medica: piazza di Chiesa, 1 - tel. 0782 73568
Biblioteca: piazza Melis - tel. 0782 73103
Ufficio postale: via della Libertà, 1 - tel. 0782 73102

ASL Lanusei via Piscinas n° 5, 08045 Lanusei (OG), Centralino 0782 490576
Farmacie e parafarmacie
Farmacia Pitzus Giulia, via Vittorio Emanuele 08040 Gairo (OG), tel. 0782 73263
Ospedali: Asl 4 di Lanusei Ospedale N.S. della Mercede via Ospedale 08045 Lanusei (OG)
tel. 0782 490211; fax 0782 40006 Urp - Ufficio relazioni con il pubblico 0782 490208

Cartucceddu, cascatelle, Gairo Ogliastra.
 Gairo, campagna

Gairo Sant'Elena, ubicato sul versante di una ripida gola, contiene nel toponimo la propria condizione territoriale: il nome deriva infatti dalle parole greche "ga" e "roa" che significano "terra che scorre". L'attuale centro sorge in seguito all'evacuazione del vecchio abitato, distante alcuni chilometri e abbandonato a causa delle frane dovute alle grandi alluvioni avvenute tra il 1951 e il 1953. Il territorio è caratterizzato da bellissimi paesaggi, come quello del torrione calcareo di Perda Liana, vero e proprio monumento naturale popolato dai mufloni e sorvolato dal Gypaeto barbato. Numerosi sono i siti archeologici disseminati nel territorio come l'area nuragica di Serbissi e di Perdu Isu e del bastione roccioso di Taquisara dove si trova una tomba dei giganti. Le sagre più importanti si celebrano nella domenica di Pentecoste, con tre giorni di festa dedicati allo Spirito Santo, e la prima domenica di agosto, con i festeggiamenti in onore della Madonna della Neve. Le tradizioni enogastronomiche sono caratterizzate dalla produzione di dolci tipici "pirighittus" ed "amaretti", e di rinomati vini locali.

Testi tratti da "Gairo: cuore d’Ogliastra"
Ricerca e stesura del presente elaborato curata da
Cabiddu Guglielmo – Gairo
Ligas Simonetta – Gairo

ETIMOLOGIA DEL NOME GAIRO
Sull’etimologia del nome vi sono numerose teorie. Lo Spano né formula tre tutte derivanti dal fenicio: HIAIR = illuminazione, luce; GABAIAR = colle selvoso; IAAR = selva, ritenendo quest’ultima la più probabile. Lo scrittore Giovanni Lilliu ha motivo di ritenere che la parola “Gairo” derivi dalla corruzione della parola GALILLIUM, di cui si parla nella leggenda di San Giorgio (Studi Sardi di G. Lilliu e G. D. Serra) che risale agli inizi del secolo XII. Il Miglior pensa che abbia avuto origine dal greco KÀIROS = stame, orditura, filato di lana. All’avviso di don Flavio Cocco il toponimo di “Gairo” deriverebbe dalle parole greche GHÈS = terra e RÈUO = scorro che quindi stanno ad indicare “terra che scorre”, con evidente riferimento alla precaria condizione idrogeologica che interessa una buona parte del territorio in cui sorge l’abitato.
STORIA ANTICA
La storia antica degli avi dei Gairesi è alquanto travagliata a causa dei continui spostamenti ai quali furono costretti.
NASCITA ED EVOLUZIONE STORICA DEL PAESE
Vista la grande abbondanza di sorgenti d’acqua, già in epoca preistorica si trovano tracce d’esseri umani nella vallata del Rio Pardu. Secondo la tradizione, un pastore d’Osini, Fuliau Serra, si stabilì con il bestiame in località Funtana de Lorista. Trovandosi bene, si fece raggiungere dalla famiglia, dai servi e da alcuni amici. Con gli anni aumentarono di numero tanto che ottennero dalla comunità osinese un vasto territorio. Secondo lo scrittore Giovanni Lilliu, Gairo sarebbe già esistito ai tempi di San Giorgio Vescovo, ma nulla vieta che allora esistesse già da qualche tempo anche se mancano i documenti che lo attestino, come per quasi tutta la storia sarda dell’Alto Medioevo. Infatti, Gairo lo troviamo nominato per la prima volta in un documento ufficiale del 08 marzo 1217. Ma questa non è la sua data di nascita, se ne parla soltanto incidentalmente, il che dimostrerebbe la sua preesistenza che alcuni ritengono più probabile nella zona della marina. Si pensa che in tempi più remoti le popolazioni che abitavano le zone costiere si videro costrette a spostarsi verso le zone interne dopo alcune incursioni arabe, in particolare, quelle del califfo Abd al Malik che, conquistata l’Africa del Nord, costruì una flotta di navi per dirigere alla volta dell’Europa Occidentale. Nonostante l’indubbio valore dei Sardi, – che dal geografo arabo Edrisi, scrivendo alla corte dei Normanni in Palermo circa il loro atteggiamento tenuto in quattro secoli di dure lotte, è riepilogato così: – I Sardi…sono gente valorosa che non lascia mai l’arme –, gli abitanti della piana di Buon Cammino, si videro costretti a ritirarsi dalle zone più vicine alla costa verso luoghi più nascosti per affrontare uniti e più al coperto il nemico, più numeroso ed abituato alla guerra, riducendo, per quanto possibile, le sorprese. Il luogo ideale, volendo stare ancora in pianura, era la valle dove erano Is Meanas, nascosta al mare perché a ridosso di una collina, e in più circondata dai nuraghi Trunconi e Musciu e tante rocce sporgenti ed anfratti rocciosi che offrivano ottimi punti d’osservazione e riparo in cui ci si poteva difendere abilmente. In basso, dove lo spartiacque si avvicina al Rio Pelau, i Gairesi costruirono Domusnoas, le nuove case. Demolirono la chiesa di N. S. di Buon Cammino fino allora situata nella piana di Foddini e la riedificarono nel sito attuale, completamente nascosta al mare. Lavorarono le fertili terre pianeggianti della zona circostante con le armi sempre appese alla cintola, pronti ad affrontare le sorprese ostili che potevano venire dal mare. Si pensa che le affinità di carattere, di costume e di dialetto sussistenti tra Gairo e Tertenia, sensibilmente più marcate di quelle esistenti con i paesi di Osini, Ulassai e Jerzu, nonostante l’attuale maggiore distanza che separa i primi due centri abitati rispetto agli altri, siano dovute ad una convivenza limitrofa del periodo precedente a queste incursioni; esisteva anche un rito antichissimo che richiamava queste antiche relazioni di vicinato tra i due paesi: quando si doveva trasportare a spalle il simulacro di Nostra Signora di Buon Cammino da Gairo alla sua chiesa campestre, in occasione della festa, erano preferiti per portare a compimento quell’onorevole usanza i Terteniesi, se erano presenti. Altrettanto avveniva a Tertenia in favore dei Gairesi per il trasporto del simulacro di Santa Sofia alla rispettiva chiesa campestre. Solo una vicinanza lunga ed integrata avrebbe potuto produrre questi rapporti tanto solidali fra due popolazioni e questo poté avvenire solo se si presuppone una passata vicinanza delle stesse, che sarebbe potuta avvenire soltanto a ridosso delle coste tirreniche, dove i territori dei due paesi confinano tuttora; nella montagna, invece, erano e sono separati dai territori di Osini, Ulassai e Jerzu. Tradizione vuole che siano assegnati due tempi differenti all’allontanarsi dalla costa ma che, per combinazione, entrambi i paesi trovassero la sede in cui stabilirsi presso l’ovile di un osinese, per i gairesi fu Fuliau Serra di cui si diceva sopra, come suddetto. Probabilmente, quel rito suggestivo che univa in amicizia i due popoli, nacque proprio quando l’amara sorte li costrinse a separarsi, allontanandosi dal mare, intendendo con esso perpetuare il ricordo di un’antica e amichevole vicinanza. Le lotte senza quartiere tra i Pisani ed i Visconti per il possesso della Sardegna Orientale, dalla Gallura a capo Carbonara iniziate nel 1258, costrinsero i Gairesi ed altre comunità stanziate nella pianura di Sessei a scappare verso le zone interne ed a vagare a lungo alla ricerca di una nuova dimora stabile. Tuttavia, i Gairesi, al contrario di Loceri e San Pietro, riuscirono in pochi anni a sistemarsi: infatti, il paese di Gairo, già nel 1316 è ufficialmente censito da Pisa per fini fiscali. L’allora nuovo abitato (oggi abbandonato e conosciuto come Gairo Vecchio) fu fondato, come suddetto, vicino all’ovile di un Osinese nella zona montana di Funtana ‘e Lorista.
Questo, probabilmente, già allora era un piccolo villaggio con tanto di chiesa dedicata a Sant’Elena Imperatrice. Comunque, data la fecondità delle terre in pianura, i Gairesi continuarono a mantenere uno stretto rapporto con loro e, sebbene non senza difficoltà di cui si parlerà più avanti, riuscirono a mantenerne il possesso e la proprietà sino ai giorni nostri. I forestieri furono accolti fraternamente ed invitati a sistemarsi oltre il ruscello, in seguito detto di Arega Piras. Secondo la tradizione, furono le donne d’Ulassai a costruire la chiesa che fu consacrata allo Spirito Santo. Unica condizione posta ai nuovi arrivati fu di riconoscere come matrice la chiesa già esistente di Sant’Elena, con tutte le conseguenze, anche religiose: le processioni che partivano dalla chiesa dello Spirito Santo non potevano varcare il ruscello intermedio, mentre quelle che partivano dalla chiesa di Sant’Elena, in segno di superiorità, potevano varcarlo e passare anche al vicinato opposto. Il periodo immediatamente successivo al trasferimento dalla pianura di Sessei alla montagna fu un tempo di miseria dovuta, oltre che alla perdita dei beni mobili e delle abitazioni determinata dalla fuga frettolosa sotto la pressione delle truppe pisane che incalzavano, anche alla confisca del territorio di Sessei che Pisa aveva incamerato nel suo Demanio. Da Pisa, il salto di Sessei passò, con la conquista dell’Isola nel 1324, agli Aragonesi e da questi a Berengario Carroz, insieme a tutta l’Ogliastra, Gairo incluso. La tradizione vuole che, in seguito, una contessa di Quirra fece dono di quel salto ad una donna di Tortolì, Polea Carta. Quest’ultima l’avrebbe poi donata ai Gairesi. In segno di gratitudine, lei ne avrebbe avuto una pensione e dei riguardi onorifici, come quello di offrirle una sedia in chiesa, mentre gli altri sedevano in terra o stavano in piedi. Un successore della contessa donatrice tentò di riprendersi il salto mediante lite che si concluse l’11 ottobre 1580 in favore dei fratelli Andrea e Francesco Ghigino, legittimi eredi di Polea Carta, che ne mantennero, quindi, la proprietà. Ma la stessa sentenza sembra negare la donazione fatta da quest’ultima ai Gairesi. Questi, infatti, figuravano semplicemente affittuari del salto, anche nel patto di vendita stipulato il 31 ottobre 1608 tra il loro sindaco Giovanni Piras ed i cugini di Tortolì Sebastiano Ghigino e Giorgia Carta. Probabilmente non si trattava di una vera e propria donazione in proprietà ma in usufrutto con cui Polea Carta lasciava ai suoi eredi la proprietà di quel salto, restringendo la donazione all’usufrutto perpetuo in favore dei Gairesi, contro pagamento di una pensione di quaranta lire annue a lei, fin quando era in vita, e ai suoi eredi. In ogni modo, dopo aver ricevuto quella pensione di 40 lire l’anno per parecchio tempo, gli eredi di Carta, decisero di vendere il Sessei. I Gairesi, a loro volta, colsero l’occasione per il suo acquisto. Il 20 settembre del 1608 fu fatta una riunione dei capifamiglia del paese affinché eleggessero i sindaci investiti dei poteri per concludere in nome del comune l’ambìto affare. Gli eletti per la conclusione dell’acquisto furono Giovanni Piras e Giovanni Mulas, con possibilità di agire anche disgiuntamente. Infatti, fu solo il sindaco Piras che si recò a Tortolì il 31 ottobre del medesimo anno, per discutere il patto di vendita. Fu stabilito che le due parti si sarebbero recate a Cagliari, la allora Capitale del territorio, entro tre mesi per stipulare il vero e proprio atto di vendita. Ma questo non poté avvenire che il 14 marzo del 1616, poiché, con la sopraggiunta morte di Giorgia Carta, si resero necessarie pratiche lunghe affinché Ghigino potesse avere le necessarie autorizzazioni ad agire per conto dei figli minori, eredi della moglie, e forse anche perché Gairo non si poteva permettere di pagare le rate annuali di 500 lire per cui si era impegnato. Nell’atto di vendita fu espressamente stabilito che veniva venduto dai Ghigino ed acquistato dai Gairesi TUTTO IL SALTO DI SESSEI specificandone, immediatamente dopo, i confini. Il Comune di Gairo insieme a Cardedu, che è divenuto comune autonomo nel 1984, ancora oggi ne mantengono la proprietà, anche se dopo numerose peripezie legali.
GAIRO IN LITE CON BARI SARDO
Per l’acquisto di quel salto Gairo soffrì per oltre duecento anni assalti continui per vie di fatto e per vie legali da parte di Bari Sardo, che ricorse a tutto ciò che poteva, legale ed illegale, senza mostrare mai titolo valido su di esso. Non si contano le delimitazioni giudiziarie che scaturirono in seguito ad impugnative risultate sempre favorevoli a Gairo. Ma nonostante ciò Bari Sardo persisteva ad impugnarle nuovamente, presentando tesi già ripetutamente reiette dai giudici. L’ultima sentenza in questo senso è del 13 ottobre 1841 che, ancora una volta riconobbe Gairo vincente e Bari Sardo perdente. Il giudice Ilbonese Luciano Monni fece la prima delimitazione favorevole a Gairo nel 1676, il giudice di Cagliari la riconobbe e tuttavia il 10 settembre 1683 la Real udienza dovete vietare nuovamente ai Bariesi ogni uso di quelle campagne, sotto pena di duecento scudi d’ammenda da versarsi al regio erario.
Ciononostante il 02 febbraio 1697, ventisei Bariesi penetrarono in quei salti a mano armata e cominciarono a seminarlo. Gairo sporse nuovamente denuncia al magistrato, il quale ordinò di nuovo la delimitazione. Tale delimitazione fu ancora una volta favorevole a Gairo ed il giudice penale, il 13 luglio 1698, li condannò al pagamento dell’ammenda. Diciassette di loro furono anche condannati a tre anni d’esilio dal territorio d’Ogliastra, che sarebbero stati raddoppiati in caso di contravvenzione, poiché furono trovati armati addirittura di schioppo. Gairo, per consiglio dei suoi legali, si limitò alla dimostrazione solamente del possesso, senza esibire l’atto notarile che dimostrava anche la proprietà del salto. Bari Sardo, credendo che Gairo ne fosse sprovvisto, se ne costruì uno in suo favore, con la complicità di due notai, riuscendo a sospendere, solo in via provvisoria, il diritto di possesso che Gairo difendeva. L’inganno fu però presto scoperto e i due notai furono condannati a morte e giustiziati. Nel 1737 a Bari Sardo, dopo la morte dei falsari, si procurarono una copia dell’atto notarile con cui Gairo aveva acquistato il Sessei e vi fecero fare delle manipolazioni, conservandolo nel cassetto per oltre un secolo per servirsene dopo la morte naturale dei falsari, quando non sarebbero più stati passibili di pena. Nel 1838 fu esibito come risposta ad una denuncia presentata da Gairo contro una nuova invasione, questa volta violenta e astutamente fatta a scopo di provocazione. La copia dell’atto notarile presentata dai Bariesi aveva una cancellazione nella parte in cui si descrivevano i limiti dei terreni acquistati, quindi dissero al giudice che il prezzo per quel salto tanto esteso era troppo piccolo e pertanto i Gairesi dovevano averne esteso i limiti e questi, in quel documento, erano cancellati: nessuno, se non i Gairesi stessi avrebbero avuto l’interesse di effettuarla allo scopo di impedire una futura verifica dei limiti effettivi del loro possesso (che poi era proprietà dal 1616); i Bariesi non potevano essere stati ad averla fatta perché, altrimenti, non avrebbero atteso un secolo per portare il documento dal giudice, giacché lo avevano in mano dal 1737. Il possesso era dunque in mala fede, il che lo rendeva nullo di diritto. I giudici, tuttavia, non caddero nella trappola e, nella sentenza del 1841, ai Bariesi che l’avevano promossa, risposero che, se quella cancellatura poteva giovare a Gairo per estendere i suoi confini, poteva giovare anche a Barì per ridurre in più angusti confini quella vasta estensione […]. La cancellatura, infine, non poteva pregiudicare i diritti di Gairo su quelle campagne, poiché sull’atto medesimo era espressamente specificato che TUTTO il salto di Sessei fu acquistato da Gairo, nei limiti indicati da almeno quattro perizie giudiziarie. Durante tutto il periodo di due secoli circa che durò il litigio per queste campagne, i rapporti fra i due paesi erano tutt’altro che pacifici. Ne erano una testimonianza le risse furibonde che scoppiavano tutti gli anni quando gli abitanti dei due centri s’incontravano durante i festeggiamenti in onore di N. S. di Buon Cammino. Tali litigi continuarono persino dopo la sentenza del 1841 ma con il tempo fortunatamente andarono scemando. Oggi, infatti, la questione è stata definitivamente appianata e i fatti su esposti fanno parte della memoria storia e, soprattutto, i rapporti tra gli abitanti dei due paesi sono ottimi.

Gairo, stazione ferroviaria.

STORIA RECENTE
L’ARRIVO DELLA FERROVIA A GAIRO TAQUISARA

Va detto che già alla fine dell’Ottocento la località di Genneua aveva già una certa importanza poiché da qui si diramava una linea ferroviaria che serviva i tre centri ogliastrini di Osini Vecchia, di Ulassai ed Jerzu.
Il primo treno delle Ferrovie Secondarie Sarde percorreva la linea Gairo – Jerzu il 16 novembre 1893, dopo l’inaugurazione del secondo tronco ferroviario Tortolì – Lanusei – Gairo Taquisara – Ussassai. Come si legge in una vecchia cronaca, fu salutata con entusiasmo quale segno di buon auspicio nel senso del potenziale sviluppo economico che tale infrastruttura avrebbe potuto dare all’Ogliastra. Ma dopo una sessantina d’anni il primo tronco Gairo – Jerzu venne smantellato, anche se ora si è capito che fu Un errore e molti vorrebbero che fosse riattivata al fine di ripristinare una bretella ritenuta il coronamento dell’itinerario turistico del trenino verde onde consentire ai visitatori di poter riscoprire e ammirare le bellezze, il mistero e soprattutto il fascino de Su Taccu di Osini, le stupende rocce di Ulassai, la località Morosini dove i bambini possono sperimentare il fenomeno dell’eco composto, lo stupendo panorama di Jerzu con i suoi monti, e l’intera Valle del Pardu in cui sono immersi i Vecchi centri di Gairo e Osini e i rispettivi Nuovi Centri abitati.
LE PESTILENZE DELLA PRIMA METÀ DEL VENTESIMO SECOLO
In un passato più recente, dopo che la popolazione aveva affrontato già un’altra pestilenza, l’Influenza Spagnola del 1921 che mieté numerosissime vittime, ci furono altri problemi da affrontare: tutte le popolazioni che lavoravano le campagne situate nella pianura di Sessei e nella Marina, compresi i Gairesi, poiché l’acqua tende va a ristagnare tanto da renderle paludose, erano falcidiate da diverse malattie che hanno imperversato per lungo tempo. Quelle più diffuse e conosciute erano quelle addominali, dovute alla carenza di una corretta igiene e di servizi di raccolta e smaltimento delle acque nere, epatiti e, forse quella che più di tutte ha mietuto vittime fra la popolazione che frequentava il salto, la malaria. Quest’ultima era diffusa ovunque e le zone paludose né erano i focolai più temibili. La zona di Sessei, quella in cui oggi sorge il centro di Cardedu e quella che si estende verso il litorale marino, proprio per questo motivo, nella sua storia recente e in particolare dopo la seconda guerra mondiale, fu bonificata anche grazie all’aiuto degli americani e del loro famigerato DDT americano che fu cospicuamente nebulizzato su tutta la superficie interessata, al fine di debellare da quel flagello che imperversava un po’ ovunque e permettere alle popolazioni di allora e alle generazioni future una vita più lunga e sana.
LE ALLUVIONI DEL DICIANNOVESIMO E VENTESIMO SECOLO E LA RICOSTRUZIONE
Il precario equilibrio idrogeologico del Vecchio centro abitato come del Nuovo, influenzò e continua ad influenzare in maniera preoccupante la vita amministrativa, economica e sociale della popolazione di tutta la Valle del Pardu ed in particolare dei paesi di Gairo ed Osini. Ciò in conseguenza d’alcuni fatti climatici che né hanno modellato la fisionomia territoriale e, conseguentemente, il tessuto sociale. Per chiarire con quale forza tali eventi climatici si devono essersi abbattuti sul territorio e sulle popolazioni locali, basti qui ricordare la legge fisica che regola il fenomeno dell’erosione geologica. Tale legge afferma che il potere di trascinamento dell’acqua (l’erosione geologica appunto) cresce con la sesta potenza rispetto al crescere della velocità dell’acqua. Il che significa che raddoppiando la velocità di scorrimento sul terreno l’acqua acquisisce un potere di trascinamento 64 volte maggiore. A tali gravi conseguenze dell’erosione sono soggetti in modo particolare quei territori la cui superficie non è più protetta dalla vegetazione, divenuta rara o addirittura sparita a causa delle intense opere di disboscamento sregolato e squilibrato, o d’incendi boschivi per la stragrande maggioranza dolosi come, purtroppo, sempre più spesso accade ovunque nel mondo ed in Sardegna in particolare. Se non fosse per tali atti, in molti casi definibili criminali, il territorio sarebbe maggiormente in grado d’auto proteggersi e, almeno in parte, di ridurre a livelli “fisiologici” il naturale fenomeno dell’erosione. Ed anzi, in molti casi potrebbe trasformare le precipitazioni in una risorsa per le genti locali. Detto ciò, è facile immaginare cosa possa comportare questa legge fisica per i territori di Paesi montani quali sono quelli della Vallata del Rio Pardu quando sottoposti agli eventi climatici di cui di seguito si esporranno i tratti salienti.
Prima alluvione del Novembre 1880: avvisaglia di un futuro travagliato
La prima alluvione di cui a memoria d’uomo si ha notizia si ebbe nel lontano 1880, a Novembre. Una pioggia violenta caduta ininterrottamente per due giorni causò ingenti danni al paese e alle campagne: frane, smottamenti, muri a secco crollati, tetti scoperchiati, i viottoli in selciato del paese trasformati in ruscelli, la circolazione dei carri a buoi paralizzata. La strada Seui - Lanusei costruita pochi anni prima era franata un po’ ovunque lungo la tratta S’Orgiola e su Cardu – S’Arcu ‘e Mustoni. Il servizio dell’Omnibus (che non era altro che una carrozza trainata da cavalli che faceva servizio di trasporto pubblico, una sorta di diligenza, insomma), fu interrotto da Lanusei a Seui e non fu riattivato per un lungo periodo neanche dopo la riapertura della strada, giacché ritenuta pericolosa dall’Impresa che gestiva il servizio. Le istituzioni di quel tempo fecero poco o niente per risollevare il Paese dai danni subiti: solo la tenacia e la determinazione della laboriosa popolazione consentirono la lenta ripresa adottando quel metodo oggi chiamato fai da te.
Tale evento, nonostante tutto, non ebbe grande influenza sullo spostamento degli abitanti da Gairo Vecchio in altre sedi. In compenso costituì un’avvisaglia di quanto sarebbe accaduto di lì a pochi decenni.
Infatti, la frazione di Gairo Taquisara, il più recente centro di Gairo Sant’Elena nonché il giovanissimo Gairo Cardedu sono il risultato di una successione d’eventi che ebbero inizio il secolo successivo: trattasi di una serie d’alluvioni che né hanno condizionato la fisionomia nonché l’evoluzione storica, culturale ed economica fino ai giorni nostri.

Particolare di Gairo Vecchio.
Scorcio di Gairo Vecchio.

Seconda alluvione di Marzo 1927: l’inizio del trasferimento verso Genneua

Difatti, 47 anni dopo alla fine del mese di Marzo 1927, si ebbe una seconda e ben più grave alluvione che mise la popolazione di fronte ad uno scenario peggiore della precedente. Il nubifragio comportò anche questa volta diversi allagamenti, frane e smottamenti che però non si limitarono alle strade ed alle campagne ma colpirono anche la linea ferroviaria interrompendola tra le località Taquisara e Baccu Nieddu. Rese, inoltre, pericolanti alcune case tanto che necessitarono di essere demolite ed una quindicina di famiglie che le occupavano furono costrette a trasferirsi già nel 1928 sul lato opposto al rio Pardu, nel valle di Genneua, fra Serra Taquisara e Serra Serbissi a ridosso di Cabu de Abba, in cui sorgeva una falda acquifera già nota per le sue acque fresche ed abbondanti, tutt’oggi fonte di approvvigionamento idrico dei due centri abitati. Questa volta, però, gli organismi dello Stato furono più sensibili ed aiutarono la popolazione danneggiata a fronteggiare l’emergenza. L’intervento, però, si limitò all’applicazione della legge n° 445 del 1908, nata inizialmente per la Basilicata e la Calabria ed in seguito estesa ad altre zone sinistrate d’Italia. Essa comportò il mero spostamento delle famiglie più colpite dal nubifragio ma non il consolidamento dell’abitato con opere di bonifica, risanamento e stabilizzazione del territorio su cui era costruito. Come primo passo del trasferimento dell’abitato, nel 1928 si pose mano alla costruzione di un primo lotto d’alloggi – ricovero nella località Genneua o Taquisara. A tale data, quindi, risale l’inizio della ricostruzione e del trasferimento in altre sedi della popolazione dell’Antico Borgo, che oggi è denominato Gairo Vecchio. Ebbe così inizio lo smembramento del paese che ne compromise la sicurezza, l’integrità e l’identità socioculturali nonché, probabilmente, l’economia. Nel 1930, a seguito dello sfratto d’altre famiglie da alloggi pericolanti conseguenti l’evento del 1927, fu nominata una speciale commissione per decidere di costruire nuovi alloggi nella località di Genneua oppure nello stesso Gairo Vecchio o nelle sue vicinanze.
La commissione, nominata dal Prov. alle OO.PP. di Cagliari, elaborò le seguenti conclusioni:
· Divieto di costruire nuove abitazioni a Gairo Vecchio a causa della manifesta precarietà idrogeologica del terreno su cui era ubicato;
· Completamento della demolizione delle case pericolanti del Vecchio Borgo.
La costruzione dei nuovi ricoveri doveva avvenire dove fu realizzato il primo gruppo di case e cioè a Taquisara. In quella località lontana da movimenti franosi e vicina alla ferrovia già attiva dal 1893 che si sperava potesse dare nuovo impulso all’economia del Nuovo Centro, sorse così, tra il 1928 e il 1932, Gairo Taquisara dove furono trasferite complessivamente in quelli anni una cinquantina di famiglie che abbandonarono le loro case site nei due più vecchi quartieri del paese: Funtanamanna e Funtana e n’u Cossu, i più colpiti dall’alluvione. Alle famiglie che ebbero le abitazioni distrutte direttamente dal nubifragio o demolite perché pericolanti in conseguenza dello stesso, fu promesso a titolo d’indennizzo per i danni subiti per tale evento, la cessione in proprietà del nuovo alloggio assegnato. Fu così che intorno alla stazione ferroviaria fino allora solitaria si formò velocemente un altro nucleo urbano.
Terza alluvione dell’Ottobre 1940: l’inizio del trasferimento verso Is Bingias de Susu
Nel mese d’Ottobre 1940, dopo soli 12 anni dal precedente evento del 1927, in seguito ad una terza alluvione, si riaprirono vecchie ferite non ancora del tutto cicatrizzate. In un primo tempo si tentò di affrontare il problema continuando la ricostruzione a Gairo Taquisara, in località Genneua.
Poiché la maggior parte degli abitanti era restìa a recarsi a Genneua, lontana dalle terre da cui traevano sostentamento, le autorità locali, regionali e statali decisero di dare inizio alla costruzione di un nuovo blocco di case più a monte del Vecchio Centro, intorno a Funtana de Sant’Elèni, (da cui deriva il nome Gairo Sant’Elena), in loc. Bingias de Susu (le vigne di sopra). Da parte del Genio Civile di Nuoro, infatti, fu redatto un progetto per la costruzione di cinque alloggi – ricovero da destinare a dieci famiglie. Rivelatisi insufficienti in rapporto al numero degli sfollati, fu realizzato dal medesimo Ente un secondo gruppo d’otto edifici per alloggiarvi altre 16 famiglie. Così cominciò a prendere forma il Nuovo Centro Abitato di Gairo Sant’Elena, che sarebbe in breve divenuto il nuovo centro amministrativo in cui si sarebbe realizzato il nuovo Municipio. Durante il periodo fascista, la frazione di Gairo situata nella località di Genneua fu ribattezzata Gairo Littorio, quindi nel dopoguerra Gairo Scalo, con riferimento alla stazione ferroviaria, per essere infine chiamata Gairo Taquisara, nome che ha conservato sino ai giorni nostri.
Quarta alluvione dell’Ottobre 1951: il travagliato abbandono del Vecchio Borgo
L’alluvione dell’Ottobre 1951, fu decisamente più impetuosa delle precedenti ed infierì su una comunità già seriamente provata sia economicamente che moralmente dai tre precedenti disastri dai quali non si era ancora completamente risollevata. Le piogge iniziarono nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 1951 e si protrassero fino al 17 investendo tutta la parte Sud – Orientale della Sardegna con valori pluviometrici impressionanti che, infatti, superarono quasi ovunque addirittura i massimi annuali precedentemente registrati: nella stazione pluviometrica ubicata a Sicca D’Erba si registrarono 1536 mm di pioggia, a Pira e’ Onni 1388 ed ad Arzana 1260, concentrati nel breve tempo di 4 giorni e 4 notti. Il 17 del mese, quando il maestrale finalmente spazzò via la violenta perturbazione d’origine africana che aveva seminato terrore e distruzione, ci si rese conto della profonda trasformazione che aveva subìto lo scenario ambientale e della gravissima catastrofe che si era consumata a danno delle comunità della Valle del Pardu. Nel solo Paese di Gairo Vecchio si contarono 90 abitazioni tra distrutte e danneggiate, nuove gigantesche frane e numerosi smottamenti, un po’ dovunque miriadi d’alberi sradicati e letteralmente spazzati via, strade erose o addirittura totalmente spazzate via o ancora totalmente seppellite sotto cumuli di detriti fatti franare dall’impeto furibondo delle acque, distruzioni d’opere murarie e ponti già ricostruiti dopo le precedenti alluvioni, le campagne rese irriconoscibili dalle inondazioni, causa anche d’interi poderi ingoiati dalla furia dell’evento. Nonostante tutto grande fu la fortuna poiché non vi furono vittime umane.
I problemi della bonifica e della sistemazione idraulica del bacino del Pardu e dei versanti tendenzialmente franosi non erano stati dunque affrontati con interventi mirati perlomeno a limitare i fenomeni d’erosione e dissesto dei suoli di cui in precedenza si ebbero ben tre avvisaglie. L’alluvione, come si può desumere dai valori pluviometrici suddetti e dal racconto dei fatti, provocò il dissesto dell’intero Vecchio Borgo di Gairo Vecchio come anche d’Osini Vecchio, “fratelli gemelli” in quest’amara sorte, tanto che è a causa di questo disastro ambientale che furono definitivamente dichiarati entrambi inabitabili. La visione di quello scenario che, dopo aver resistito a tre eventi calamitosi ed aver costituito, nonostante tutto, fonte di sostentamento per la comunità del Rio Pardu, era divenuto a dir poco spettrale in così pochi giorni, inflisse un duro colpo alla comunità e all’Amministrazione dell’epoca convincendo i più dell’ineluttabilità dell’abbandonare definitivamente il plurisecolare Centro Abitato in favore di nuove sedi. Subito ci si adoperò per decidere il daffarsi. A favore della comunità del Rio Pardu intervenne lo Stato tramite il Genio Civile che si occupò della ricostruzione finanziata grazie ai contributi previsti dalle seguenti norme (elencate in ordine cronologico fin dalla prima d’inizio secolo):
· Legge n° 445 del 9 Luglio 1908
· Legge n° 9 del 10 Gennaio 1952
· Decreto Prov. OO.PP. CA n° 1418 del 14 Febbraio 1953 - appr. P. Reg. Gairo
· Legge n° 31 del 1960
· Legge n° 952 del 31 Ottobre 1966
· Legge n° 394 del 28 Marzo 1968
· D.P.C.M. del 26 Settembre 1969
· D.P.C.M. del l3 Novembre 1970
· Legge n° 168 del 12 Aprile 1973

A Gairo Vecchio, il 2 gennaio 1952, dopo la recente alluvione, la polizia entrò con la forza nel municipio occupato nella notte di San Silvestro 1951 da 150 donne incinte che facevano lo sciopero della fame per protestare contro lo stato d’abbandono in cui era lasciato il paese da parte dello Stato riguardo alla metodologia adottata per la distribuzione degli aiuti: questi, infatti, secondo le testimonianze del tempo, non erano equamente distribuiti fra la popolazione, ma i paesani più abbienti, probabilmente con il beneplacito di qualcuno all’interno dell’Amministrazione dell’epoca, riuscivano ingiustamente ad accaparrarsene parti cospicue. Le donne appoggiate dalla popolazione sensibile alla questione, chiedevano l’intervento del prefetto affinché facesse i controlli necessari ed appurasse quanto stava accadendo. Seguirono scontri violenti fra polizia e dimostranti anche all’esterno del municipio e la polizia aprì il fuoco ferendo, seppure in modo lieve, alcune delle
persone che manifestavano; anche 4 agenti di Ps e un carabiniere restano feriti. Il prefetto inviò un proprio delegato che provvide a trovare una soluzione equa alla situazione creatasi. Superata la crisi, nei successivi giorni di Gennaio 1952 si decise di continuare la ricostruzione delle abitazioni ed il trasferimento della comunità verso la più sicura zona calcarea e non franosa di Taquisara. Furono così avviati i lavori di scavo delle fondazioni per la costruzione di una decina d’alloggi. Ma subito dopo tornò a farsi strada la linea del No per il trasferimento in favore di Taquisara ed entro una settimana, su mezza dozzina di carri e di buoi furono caricati attrezzi e materiali diretti a Is Bingias de Susu. Il geologo prof. Attilio Moretti propose il definitivo trasferimento in altra zona dell’abitato di Gairo Vecchio, zona da lui stesso individuata nella località S’Enna ‘e S’Abba, poco distante dall’insediamento de Is Bingias de Susu realizzato nel 1941. Viene così inizialmente scartata l’idea di trasferire parte degli abitanti in pianura nella valle del Rio Pelau in conseguenza dei gravi problemi d’ordine economico e sociale che detta soluzione comportava. Quindi il Genio Civile, organo preposto alla ricostruzione, trovò diverse difficoltà nel decidere il luogo in cui far sorgere il nuovo paese, problema che derivò essenzialmente dai contrasti esistenti nella popolazione: alcuni erano desiderosi di abitare in località costiere (dove oggi sorge il Comune di Cardedu) ed altri in montagna in località Is Bingias de Susu (dove oggi sorge la frazione di Gairo Sant’Elena), in cui era già nato l’insediamento di poche unità abitative costruito per accogliere le famiglie sfollate dal Vecchio Borgo dopo la precedente alluvione del 1940 che già aveva reso inagibili le loro abitazioni. Altri ancora volevano trasferirsi nei pressi della stazione ferroviaria di Genneua andando ad ingrandire la frazione di Gairo Taquisara, alcuni altri ancora addirittura contestavano l’abbandono del Vecchio Centro Abitato. Quindi ci si accorse ben presto che le aree reperite a monte del Vecchio Borgo non erano in grado di soddisfare tutti i gusti ed interressi della popolazione. Tuttavia, nonostante il bagaglio di problematiche che comportavano, la ricostruzione ed il trasferimento degli abitanti vennero ripresi e continuarono per alcuni decenni. Mano a mano che venivano costruiti gli alloggi, si provvedeva a trasferivi le famiglie destinatarie delle ordinanze di sgombero dalle abitazioni dichiarate pericolanti. Siccome la disponibilità di locali era minore rispetto alle necessità, i nuclei familiari erano sistemati anche negli edifici pubblici da poco ultimati quali scuole, municipio, ambulatorio, nei seminterrati nonché nei prefabbricati metallici montati a tempo di record dal militari del Genio. Molte di queste baracche rimasero a lungo nelle “corsie” (così furono inizialmente definite le vie del piano regolatore, nomenclatura che mantennero sino all’ultimo decennio del XX secolo) impegnando molte aree destinate agli aventi diritto, ostacolando la costruzione delle case definitive. I disordini erano frequenti. Era, infatti, raro il giorno in cui il Sindaco, le guardie comunali o i carabinieri non dovevano intervenire per fronteggiare situazioni derivanti dalla provvisorietà e dalla promiscuità soprattutto nei prefabbricati, bollenti d’estate e gelidi d’inverno, e negli edifici pubblici dove i servizi principali erano in comune e dove semplici teli di stoffa dividevano più nuclei familiari che alloggiavano in uno stesso ambiente. Notevoli difficoltà, tra l’altro, ebbero anche gli amministratori per la formazione degli elenchi degli aventi diritto all’area fabbricabile e al contributo o di chi optava per un alloggio costruito dallo Stato. Vi furono forti resistenze anche al trasferimento dei pochi servizi ancora rimasti come l’Ufficio Postale, il Municipio ecc. da parte di coloro che non avrebbero voluto abbandonare il Vecchio Borgo. Per tutte queste ed altre ragioni erano in molti coloro che, contravvenendo alle ordinanze di sgombero, la mattina facevano ritorno, anche a piedi vista la breve distanza, al vecchio paesello nella cara vecchia casetta ancora occupata da arredi e suppellettili, per trascorrervi buona parte della giornata assieme ai vicini non ancora trasferiti o che avevano opposto resistenza al trasloco. Nel frattempo in sempre più numerose famiglie si faceva strada la volontà di iniziare una nuova sede abitativa nella zona della marina ed infatti, nel 1964, dopo dodici anni di peripezie, nacque la prima borgata rurale di Cardedu per la quale si vide attore principale la Cassa per il Mezzogiorno che agiva con il tramite il Consorzio di Bonifica del Pelau e Buoncammino. Nel giro di pochi anni anche questa borgata s’ingrandì e nel 1967 divenne a tutti gli effetti frazione di Gairo con il nome di “Gairo Cardedu”. Il necessario spostamento tra i quattro centri (Gairo Vecchio - Gairo Taquisara - Gairo Sant’Elena e Gairo Cardedu) era reso difficile dalla distanza (30 Km complessivi fra i più lontani Cardedu e Taquisara) e dalla scarsità di mezzi. Per questa ragione furono istituiti dei servizi di trasporto speciali effettuati a mezzo d’autobus da parte delle Ferrovie Complementari della Sardegna, che per tutta la giornata collegavano sufficientemente i quattro paesi consentendo agli abitanti di fruire dei servizi essenziali e curare le proprie attività sparse nel territorio. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quindi, è definitivamente sancito lo smembramento dell’originario abitato di Gairo che assunse l’appellativo di “Vecchio”, determinando il totale trasferimento degli abitanti nei tre siti attuali: Gairo Taquisara prima, Gairo Sant’Elena poi e per ultimo Gairo Cardedu, sorto, come suddetto, nella marina e fiancheggiante il letto del Rio Pelau, a circa 20 Km dal centro montano originario. Agli inizi degli anni Settanta, private ormai d’energia elettrica e dei servizi fondamentali quali uffici comunali, poste fonti d’approvvigionamento vario (generi alimentari, utensili da lavoro ecc.), anche le ultime famiglie abbandonarono definitivamente il vecchio paese per insediarsi nei nuovi centri.
Da allora in poi i saccheggiatori hanno depredato i ruderi delle case del Vecchio Abitato: mobili, travi in legno secolare, utensili, tegole, ornamenti delle abitazioni quali colonnine dei balconcini, arcate delle porte realizzate in ferro battuto, mattoni ecc. sono stati trafugati per riutilizzarli altrove, più che altro fuori dai tre centri abitati che ne sono scaturiti e da persone prive di scrupoli spesso mai appartenute a quella antica comunità. Negli anni successivi, la ricostruzione procedette molto lentamente tra ostacoli vecchi e nuovi tali da compromettere in diversi casi la stabilità delle Amministrazioni Comunali. Queste difficoltà culminarono nel 1984 con la frazione di Gairo Cardedu che in seguito ad apposito referendum popolare divenne comune autonomo, conservando solo il nome di Cardedu. Ne conseguì una ridelimitazione territoriale che vide il fino allora centro Amministrativo di Gairo Sant’Elena e la frazione di Gairo Taquisara, privati della parte più consistente e fruibile del patrimonio costiero in favore dell’ex frazione di Cardedu. Nel 1994 è stata formata un’équipe di tecnici per provvedere all’accatastamento, operazione che si spera si appresti, finalmente, alla conclusione. Nel mese di Maggio del 1999 la Regione Sarda approva la Legge n° 14 per il completamento degli abitati di Gairo, Cardedu e Osini. Nel mese di maggio del 2001 non erano ancora operanti i Piani attuativi di cui alla stessa Legge 14. A 126 anni dalla prima alluvione del 1880 non è ancora stata scritta la parola FINE sulla tormentata ricostruzione di Gairo.
Ancora oggi, a distanza di oramai 79 anni dal primo evento del 1927 in cui si cominciò a parlare di ricostruzione e trasferimento degli abitanti dal Vecchio Borgo di Gairo in siti alternativi, le abitazioni dei Nuovi Centri risultano, quasi nella totalità dei casi, del Genio Civile e praticamente nessuno degli assegnatari originari, dei loro credi o comunque degli attuali occupanti, ha avuto la documentazione con cui dimostrare la legittima proprietà dell’immobile in cui abita. Certamente due osservazioni conclusive sulla nascita del nuovo Centro Abitato sono quantomeno doverose. La prima a proposito della qualità dell’intervento di progettazione con cui, infatti, si è composto un modello di sviluppo edilizio basato su schemi monotoni e ridondanti da cui è scaturito un paese composto di strade parallele, battezzate inizialmente e tristemente “corsie”, spersonalizzato ed alienante. Privo, tra l’altro, di qualunque spazio per attività produttive. La mancanza di una corretta amministrazione degli spazi è forse dovuta inizialmente alla giusta urgenza di porre un tetto sulla testa agli sfollati. Ma poi tale mancanza sembra essersi protratta quasi fino ai giorni nostri, influenzata dai vecchi schemi. Sembra solo da qualche anno a questa parte esistere una doverosa inversione di tendenza. La seconda si riferisce sia alla decisione di parziale trasferimento dell’abitato nella piana di Cardedu, sia alla possibilità offerta ai cittadini di edificare ovunque nel territorio con cui si è impressa una spinta, col contributo dello Stato, nella direzione dello spopolamento dei piccoli paesi montani che oggi si cerca disperatamente di arrestare.
IL GONFALONE COMUNALE
Oggi costituiscono il simbolo ed il gonfalone del comune di Gairo il sole che sorge sul mare che bagna le sue coste ed il monte Perda ‘e Liana, realizzato dal pittore gairese Franco Ferrai.


Gairo, panorama della frazione di Taquisara.
Perda Liana, Gairo Ogliastra, i tacchi.
Marina di Gairo, spiaggia di Su Sirboni

Spiagge del comune di Gairo


Coccorrocci
Coccorocci presenta dune formate da una vasta distesa di ciottoli porfirici. I ciottoli che mutano colore dal grigio, al rosa e al verdastro sono sicuramente di origine vulcanica. Quella di Coccorocci è la spiaggia di ciottoli più grande della Sardegna. Straordinario il panorama dei monti Ferru e Cartucceddu che incombono sulla costa con rocce e fitte foreste. Le sue acque sono trasparenti e di un azzurro cangiante per i giochi di luce creati dal sole riflesso sul fondale. Un ulteriore cromatismo è offerto dal verde dei ginepri che orlano la spiaggia.
Come arrivare Prendere la SS 125 in direzione Cardedu, proseguire lungo la statale senza entrare in paese: dopo poche centinaia di metri si trova l'incrocio per Marina di Cardedu segnalato da un cartello; si prosegue su questa strada per 2 km. e si arriva alla spiaggia di Perdepera. Proseguendo per altri 3,4 km. si trova la spiaggia di Coccorrocci, dove sorge l'omonimo villaggio turistico.
Informazioni e servizi La spiaggia offre alcuni servizi: è dotata di ampio parcheggio adatto anche ai camper, camping e locali in genere nella zona nei quali la vita notturna è particolarmente animata.

Su Sirboni
La spiaggia di Su Sirboni si presenta con un fondo di sabbia chiara abbastanza sottile mista a ciottoli e con scogli affioranti. Le sue acque sono trasparenti e di un azzurro cangiante per i giochi di luce creati dal sole riflesso sul fondale: un ulteriore cromatismo è offerto dal verde della fitta vegetazione che orla la spiaggia.
Come arrivare Su Sirboni si trova in località Marina di Gairo e nel comune di Gairo, ed è raggiungibile percorrendo la strada statale panoramica 125 dopo Gairo, seguendo l'indicazione "al mare": le spiagge sono raggiungibili solo a piedi.
Informazioni e servizi La spiaggia non è ricca di servizi: è dotata di piccolo parcheggio ed è caratterizzata da un fondale profondo che richiede quindi di vigilare il gioco dei bambini in acqua. Essendo battuta dal vento, Su Sirboni è anche meta ideale per i surfisti ed è amata da quanti praticano la pesca subacquea o semplicemente desiderano immergersi nelle sue acque, magari in compagnia di maschera e pinne per ammirarne i fondali ricchi di piacevoli sorprese.



Gairo, cesto di ciliegie
Gairo, esemplare di storno nero.

Tradizioni Le tradizioni e gli usi di Gairo trovano la loro origine o conferma nelle festività, nelle pietanze tipiche e nelle storie e leggende che si sono tramandate oralmente di generazione in generazione durante le lunghe serate invernali o nei caldi pomeriggi estivi. Le fogge dei vestiti sono particolarmente legate alla vita pastorale e contemplano la veste di pelliccia, chiamate "stia 'e peddi", e un cappotto di orbace nero. In base ai gioielli indossati e alla qualità delle stoffe del costume indossato era possibile dedurre la classe sociale di appartenenza. Le donne, che generalmente indossavano il tradizionale fazzoletto, facevano vita casalinga e si dedicavano ai lavori agricoli, come la lavorazione del grano, ma non alla pastorizia. Il venerdì sera mettevano il lievito nella farina e il sabato successivo facevano le numerose qualità di pane, come "Su moddissosu" e "Su pistokku". La vita agricola non era estensiva ed era regolata dall'effettivo fabbisogno del nucleo familiare. Spesso gli agricoltori, dai loro campi, per capire se era arrivata l'ora di pranzo, fissata a mezzogiorno, guardavano verso la montagna di fronte all'abitato di Gairo dove esiste una parete con la roccia scavata. Quando l'interno di questo incavo naturale era completamente in ombra significava che era mezzogiorno. L'incavo, pertanto, prese il nome di "Sa grutta de mesudì", la grotta del mezzogiorno. Suggestive e interessanti sono le numerose leggende, come quella di "Sa babbaieca", dirupo legato all'eliminazione fisica degli elementi anziani del paese, tipica di alcune popolazioni mediterranee, che è possibile ritrovare nell'esclamazione "Ancu ti 'nci ettintiti in sa babbaieca" (che ti gettino nella babbaieca). Divertente ed istruttiva, soprattutto per i più piccoli, appare la leggenda detta delle "Bintottu personas in sa fogi" (Ventotto persone nella conca), che narra la disavventura di alcune persone poco accorte che, incantate dal riflesso della luna su uno specchio d'acqua di una palude, decisero di afferrarlo rimanendo intrappolati nel suo fondale fangoso.
La leggenda più suggestiva è senz'altro quella che vede nel tacco calcareo di " Perda 'e liana" la porta dell'inferno dalla quale, la notte, uscivano spiriti e diavoli per tomentare i comuni mortali.
Le tradizioni enogastronomiche sono caratterizzate dalla produzione di primi piatti, come "Is culurgionis", "Is raviolus de arrescottu o de pessa", ravioli di ricotta o carne, e le focacce di patate e cipolla chiamate "Coccoi 'e patata" e "Coccoi 'e cibudda". Frai secondi piatti, legati alla cacciagione, spicca la cottura del cinghiale in buche scavate nel terreno e rivestite di rami di piante aromatiche, detta cottura a "carrargiu".
Colorata è, invece, la varietà di dolci tipici come i "pirighittus" e gli amaretti.
Territorio L'agglomerato urbano di Gairo Sant'Elena, insieme alla suggestiva frazione di Gairo Taquisara, si estende nella zona chiamata Ogliastra, tra i 650 e gli 800 metri di quota, e domina la vallata del rio Pardu nella zona chiamata Ogliastra. I due paesi fanno parte della Comunità Montana ogliastrina. Il suo territorio, ricco di grotte naturali, si estende dalle propaggini del monte Gennargentu fino alla costa tirrenica e si caratterizza per la varietà del patrimonio naturalistico di cui fanno parte i folti boschi e la montagna calcarea di "Perda 'e liana" e alcune grotte di origine carsica percorse da piccoli e grandi corsi d'acqua che terminano il loro percorso nell'azzurro mare incontaminato. Il tacco calcareo di monte "Perda 'e liana", già citato da Alberto La Marmora e cantanto dal poeta Sebastiano Satta, si erge fino a 1293 metri sul mare e torreggia su tutto il territorio, visibile dal valico di "Correboi" o di "Arcueri", a guisa di vessillo. Il territorio ad andamento irregolare è caratterizzato da salti molto suggestivi. I corsi d'acqua, a carattere torrentizio, assicurano al terreno un più che costante apporto idrico. Fra le sorgenti si ricordano quella di "rio Cabu de abba", che rifornisce direttamente l'acquedotto paesano, la sorgente "Moddizzi" in località Castello Canali Enna e infine le sorgenti di "Abba frida", di "Sa siligurgia" e di "S'arettili". La vallata di Baccu nieddu, quella di Sarcerei, e le zone di Taccu e di Genna, presentano una vegetazione formata da lecci, cisti, conifere ad alto fusto e una variegata vegetazione di natura riparia, come ontani e salici. Il sottobosco si caratterizza per i colori e gli odori ed è costituito da biancospino, lentisco, ginepro, agrifoglio, erica, corbezzolo e ginestre. Inoltre, lungo i corsi d'acqua, per la gioia dei naturalisti e degli appassionati di pesca in acque dolci, è possibile trovare anguille e trote.
Economia L'attività silvicola, legata al rimboschimento e alla salvaguardia del patrimonio boschivo, già sotto la tutela dell'Ispettorato Dipartimentale delle Foreste di Nuoro, ricopre tuttora un ruolo importante nel territorio di Gairo. L'attività forestale si integra perfettamente con quella zootecnica, con l'agricoltura di montagna e con la pastorizia transumante. Proprio l'allevamento di ovini, suini, bovini e caprini è in grado di produrre una eccellente qualità di formaggi che si uniscono alla genuinità degli altri prodotti enogastronomici in grado, oggi, di fare la differenza nel comparto alimentare.

Gairo, gattou.
Gairo, porcino nero.

Leggende, Storie ed Aneddoti Popolari.


“SA BABBAIECA”

A Gairo, come anche in altre parti della Sardegna anche se con nomi differenti, “Sa Babbaieca” è il toponimo di un sentiero che finisce in un precipizio nel quale, in età preistorica, venivano spinti i vecchi dai propri figli, perché reputati improduttivi e semplicemente ingombranti. Infatti la parola “Babbaieca” deriva da “Babbai” che significa babbo, ed “Eca” che significa entrata o uscita da o verso un sentiero campestre. Babbaieca, quindi, significa uscita del babbo, nonno, o vecchio. Questa tradizione sarebbe avvalorata dalla testimonianza di Timèo, storico greco – siciliano, vissuto tra il 356 ed il 260 a. C., il quale scrisse che in Sardegna in vecchi venivano eliminati, facendoli precipitare da alti diruppi, percotendoli con dei bastoni. L’imboccatura del sentiero che portava al precipizio si trovava nei pressi del ponte sul Rio Pardu, a tre chilometri dal centro abitato. La leggenda racconta della fine di quella usanza colma di barbara ingratitudine. Come già tante volte accadde, i familiari più prossimi portarono su per quel sentiero il proprio vecchio padre. Quando già si stavano apprestando a spingerlo giù da quel baratro, egli chiese ai figli che prima del grande salto gli permettessero di riposarsi in quanto era stanco. «Anch’io,» disse il vecchio rivolgendosi ai figli «in questo sasso lasciai sedere mio padre quando lo condussi a sa Babbaieca». I figli acconsentirono all’estrema richiesta del vecchio ormai condannato. Ma, mentre guardavano il babbo seduto su quel sasso che aveva visto tanti vecchi attraversare quel punto e non tornare più indietro, un pensiero terrorizzante pervase le loro menti e rabbrividirono al pensiero che un giorno anch’essi sarebbero stai condotti dai rispettivi figli per quel sentiero fino a giungere al baratro che avrebbe decretato la loro tragica fine. Così, guardandosi negli occhi, ciascuno scorse nel volto degli altri il proprio terrore di una fine inevitabile. Fu allora, in preda a tanta paura mista a compassione per il vecchio genitore e per loro stessi, che decisero di riportare a casa il loro vecchio ma saggio padre e di tenerlo nascosto agli occhi dei tutori di quel macabro rito. Da quel giorno il benessere riempì la loro dimora, suscitando la sorpresa degli altri membri della piccola comunità paesana, i quali con il passare del tempo divennero sempre più curiosi di venire a capo delle cause che lo avevano generato. Scoprirono poi che quel benessere era dovuto ai saggi consigli che il vecchio padre nascosto dava ai propri figli, e che, quindi, la saggezza che egli aveva maturato durante la sua vita poteva essere utilissima ai giovani. Ne conseguì la decisione di abbandonare la pratica di quel rito che altro non portava che la perdita di un prezioso bagaglio culturale che avrebbe tanto giovato alla società la quale sarebbe stata abbondantemente compensata per l’ingombro che fino ad allora era stato la causa della pratica di un rito così crudele. Quell’uso infausto viene ancora ricordato nelle imprecazioni che gli adirati lanciano contro chi dà loro fastidio:
Ancu ti ‘nci ettintiti in sa Babbaieca!!
(Che possano gettarti nella Babbaieca).

“BINTOTTU PERSONAS IN SA FOGI” (VENTOTTO PERSONE NELLA CONCA)
È la storia di un gruppo di 29 persone che, passando vicino ad uno specchio d’acqua in una notte di luna piena, si ritrovarono a discutere sul riflesso che la luna creava sulla superficie dell’acqua, scambiandola per una forma di formaggio fresco. Cosicché uno decise di gettarsi in acqua per tirarla su per primo e portarsela a casa. Visto che il primo non usciva, gli altri, pensando che se la stesse mangiando da solo senza tirarla su affinché non gliela prendessero gli altri, per ingordigia, uno dopo l’altro, si gettarono a loro volta in acqua per accaparrarsene almeno una parte. Ma nessuno ci riusciva perché la presunta pezza di formaggio spariva a causa dello spostamento dell’acqua causato dal tuffarsi di ciascuno di loro e perché, mano a mano che si avvicinavano al punto in cui ritenevano di poterla acchiappare, trovavano sempre maggiori difficoltà a muoversi perché il terreno sottostante, piuttosto fangoso, tratteneva dapprima i loro piedi per poi inghiottirli lentamente. In questo modo morirono 28 di loro mentre solo uno poté raccontare ciò che aveva visto.

“SA FOGI ‘E SUSANNA”
A cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, sembra che fosse scoppiata una faida fra due potenti famiglie di Gairo, i Lorrai e i Depau. Il primo febbraio del 1805 fu il turno di Pasquale Lorrai, il 5 dello stesso mese toccò a Pasquale Depau, e ad un mese preciso da quest’ultimo, il 5 marzo, fu la volta di Sebastiano Lorrai. Le morti, quindi, spesso si alternavano a distanza di pochissimo tempo e tutti furono uccisi de belassu, cioè in un agguato, da una fucilata sparata a freddo da uno sconosciuto intenzionalmente appostato per compiere quell’atto, frutto probabilmente di una vendetta di cui si ignorano i motivi che la scatenarono. Un altro membro de s’areu de is Lorrais, cioè della famiglia dei Lorrai, che rispondeva al nome di Felice Lorrai, venne ucciso già nel 1792 ed un altro, Salvatore Lorrai, nel 1813. È probabile che furono vittime della medesima faida anche altre persone che rispondevano a cognomi differenti da quelli già nominati. Ancora, nel 1816 cadde un altro membro della famiglia Depau, Raimondo, e l’anno successivo, nel 1817, morì Susanna Depau. Quest’ultima, fu trovata sepolta nella zona di Geddì, lungo il rio Sarcerei, in cui era stata anche uccisa. La sua morte, però, non fu causata dalla solita fucilata sparata nel mezzo di un’imboscata tesa da uno sconosciuto, ma da un fatto ancora più cruento: vi venne spinta dalla propria sorella per morirvi subito dopo annegata, quando ancora era incinta: il motivo era che il figlio che portava in grembo era illegittimo. In base ai dati raccolti e riportati sul testo DATI RELATIVI ALLA STORIA DEI PAESI DELLA DIOCESI D’OGLIASTRA – VOL. 1, scritto da Don Flavio Cocco, da cui è tratto questo racconto, visto il clima micidiale di tensione che regnava allora, non si esclude che la donna sia stata tradita dalla parte avversa per una diabolica e raffinata vendetta. La sua storia viene ricordata ancora oggi in quanto la conca in cui è affogata ha preso il suo nome affinché non ci si dimenticasse di quel tragico gesto. Sempre in base al suddetto testo, ci sono motivi per ritenere che le faide che avvennero a Gairo a cavallo fra quei due secoli, fossero legate a quelle che nello stesso periodo imperversavano a Tertenia. Ciò perché tra le vittime di Tertenia, vi erano spesso Lorrai imparentati con i Lorrai di Gairo, nonché altra gente imparentata con la famiglia avversaria. Per porre fine a quel lungo susseguirsi di omicidi fra le due famiglie, è probabile che sia stato combinato qualche matrimonio affinché venisse dimostrato che era possibile vivere insieme ed in pace. È infatti certo che Peppa Depau, la stessa che diede il suo nome alla fontana abbondante e freschissima che sgorga a un centinaio di metri dal cimitero del vecchi abitato, era sposata con un Lorrai, anche se non si ha la certezza del fatto che questo matrimonio fosse stato combinato veramente a tale scopo.

PERDA ‘E LIANA PORTA DELL’INFERNO
Considerando che il monte ha avuto una grande importanza nell’antichità non è strano che su di esso siano nate storie popolari e leggende. Una di queste, diffusa soprattutto nel Nuorese, narra che il Tacco calcareo, nei pressi del-l’attuale confine tra i territori Comunali di Gairo e Seui, sarebbe una delle porte dell’inferno, da dove, al chiar di luna piena, uscivano diavoli e streghe per mettere nei pasticci i comuni mortali. Non solo. In tali occasioni chi desiderava diventare ricco doveva recarsi sul posto ad offrire al demonio la propria anima: in cambio ne avrebbe ricevuto qualunque ricchezza. La gente, quando si accorgeva che una persona diventava ricca velocemente, diceva che era andata a Perda ‘e Liana. Tali racconti leggendari erano ricordati così:
a sa Perda ‘e Liana / a Perda ‘e Liana
su hi heres ti dana! / ciò che chiedi ti danno!

A tale proposito si narra che un giovane d’Oliena vi si recò per chiedere, durante una sera di luna piena, molte ricchezze e, dopo aver camminato a lungo, giunse sul posto al tramonto: il Tonneri era bellissimo ma in quelle ore e con il sole oramai al crepuscolo, il Tacco calcareo emanava dei colori suggestivi, che diffondevano nell’area una sinistra irrequietudine. A mezzanotte, con la luna piena alta nel cielo, vide apparire un gran numero di demoni e streghe che si misero a danzare sulla cima del Torrione. Dopo i primi momenti di smarrimento ed insieme di paura e stupore, si fece coraggio e chiese di poter parlare con il loro capo. Gli fu indicato uno più grosso degli altri che stava facendo girare in tondo un asinello come se fosse ad una macina. Il dorso di questo era appesantito da una grossa bisaccia colma di monete d’oro che facevano un gran tintinnare fragoroso ad ogni passo dell’animale. Quando il capo di demoni con i suoi occhi che sembravano tizzoni ardenti fissò il giovane attendendo che questo gli offrisse l’anima in cambio della bisaccia ricolma dell’oro, costui, assalito dal terrore, invocò il cielo esclamando:

Gesusu, Maria e Giuseppi! / Gesù, Maria e Giuseppe
Eita esti custa camarada! / Che cos’è questa disgrazia!
Santa Giulia avocada, / Santa Giulia ti invoco,
Bogamindi de mesu! / Toglimi da mezzo ai guai!

A quelle parole, tutti i demoni e le streghe scomparvero come fossero stati inghiottiti dalle rocce ed il malcapitato giovane potee tornare a casa più povero di prima, ma senza aver venduto l’anima al diavolo.

LA NASCITA DELLA CHIESA DELLO SPIRITO SANTO
Secondo questa leggenda fu lo Spirito Santo che ordinò ad una donna di Ulassai di costruire una chiesa. I Gairesi, sentita la cosa le derisero, ma poi, vista la sua ostinazione l’aiutarono a portare da greto del fiume i sassi per la sua edificazione. Fu così che sorse una cappella. Sennonché una nuova apparizione ordinò, ancora alla donna, di costruire una chiesa a sette arcate e, durante una terza apparizione, le venne indicata la strada per raggiungere un punto nel bosco in cui avrebbe trovato una statua. La donna seguì le indicazioni datele dallo Spirito che gli apparve e trovò quella statua che venne portata nella chiesa ormai costruita. Tale simulacro era di legno grezzo e assunse miracolosamente forti tonalità di colore dopo che la donna le tirò contro un uovo.

Gairo, grotta di Taquisara.

CALENDARIO DELLE FESTIVITÀ PAESANE


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S. Antonio Abate e Sagra del Cinghiale (Gairo), Sabato più vicino al 17 Gennaio
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San Giuseppe (Gairo Taquisara), 1a domenica di maggio
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Santo Patrono (Gairo), Pentecoste Spirito Santo
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N.S. degli Angeli (Gairo Taquisara), 1a domenica d’Agosto
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San Lussorio (Gairo e chiesa dedicata presso loc. S. Lussorio), 3a domenica d’Agosto
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Sant’Elena (chiesa dedicata presso Gairo Vecchio), Ultima domenica d’Agosto
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N. S. di Buon Cammino (Gairo e chiesa dedicata presso loc. Buon Cammino Cardedu), 3a domenica di Settembre

Funghi Sardi, Gairo

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