La lingua, il costume e le tradizioni Orgosolo è certamente uno dei centri che meglio conserva l’uso della lingua sarda, utilizzata dalla totalità pressoché della popolazione in tutti i contesti della vita sociale. La parlata orgolese è fra quelle contraddistinte, secondo i linguisti, dal “colpo di glottide”, un fenomeno fonetico che porta a eliminare la consonante velare k a favore di un suono secco e gutturale che viene espresso graficamente con la lettera h. Pertanto a Orgosolo, come accade in altri centri della zona, parole come casu (formaggio), luche (luce), pache (pace) ecc. diventano hasu, luhe, pahe. La variante orgolese presenta anche altre peculiarità che creano pronunce molto complesse nelle sillabe che includono le consonanti c e r. In questo caso, il suono diventa lh, che cambia vocaboli come crai (chiave), cresia, (chiesa), porcu (maiale) in alhài, lhesia, polhu. Tali particolarità, unite alla velocità della parlata corrente, rendono il dialetto orgolese non immediatamente comprensibile a chi proviene da aree più distanti o non abbia familiarità con quei suoni. Il costume tradizionale, soprattutto quello femminile, è considerato uno dei più belli e ricchi dell’isola. L’abito maschile è costituito da su zippone, una giacca in panno rosso e blu con ricami e inserti in broccato, sa hamisa, la camicia con maniche e collo ricamati (collanas), sa vraha, il gonnellino, sos carzones e sas harthas, le uose, entrambe in orbace (uresi). Completano l’abito sa berritta, sa vrentiera, una cintura in cuoio, e sas peddes, la mastruca di pelle di agnello. Il costume femminile è complesso e ha un grande numero di elementi: sa careta, una cuffia in broccato, raccoglie e dà forma ai capelli, mentre tutto il capo è avvolto da su lionzu, la benda in seta gialla che copre anche parte del volto. Su zippone è di colore rosso ed è ricoperto da un corpetto nero aperto (sas palas). La camicia ha una serie di ricami sul collo e sulle maniche (su horo e sas collanas) e una pettorina interamente ricamata (sa pitturina). La parte inferiore è composta da tre gonne, due in orbace (su sahittu) e una in panno (sa veste), indossate una sopra l’altra, e da un grembiule, s’antalena. Il grembiule è abbellito da broccati e disegni floreali stilizzati dai colori sfavillanti (sas trìppides, sas pesadas e sos lizos), ricamati interamente a mano. S’antalena è il pezzo forte del costume femminile, un capo unico per la sua particolarità, ammirato in tutte le occasioni in cui l’abito viene indossato. Alla presenza del costume è legata la bachicoltura, un’attività antichissima che trova a Orgosolo uno degli ultimi centri della Sardegna, se non l’unico, in cui è ancora presente. L’allevamento dei bachi da seta (su ermeddu), registrato a suo tempo anche dall’Angius, è un’attività esclusivamente femminile che continua a essere praticata in maniera tradizionale da un ristretto numero di famiglie che si tramandano l’arte di madre in figlia. La coltivazione dei bachi serve soprattutto per ricavare la seta necessaria alla tessitura della benda del costume tradizionale femminile. Purtroppo l’antica tradizione è a rischio di estinzione per il numero sempre più esiguo di praticanti, anche se vi sono attualmente dei validi progetti per la sua salvaguardia. La festività principale è quella della Beata Vergine Assunta (Nostra Sennora) che si festeggia il 15 agosto. Le celebrazioni religiose si svolgono nella chiesa omonima e prevedono due novene distinte. Il culmine della festa è la processione della statua della Vergine che, traslata da un’urna in legno dorato, viene portata a spalla su un baldacchino riccamente adornato. La processione si snoda lungo le vie del paese e vede sfilare tra due ali di folla un gran numero di fedeli in costume tradizionale che recitano il rosario in sardo. La sfilata è preceduta dai cavalieri, che dopo la celebrazione danno vita allo sfrenato galoppo e pariglie de Sa Vardia. Accanto alle festività religiose viene organizzato un ricco programma di manifestazioni folcloristiche che durano diversi giorni. L’Assunta è particolarmente venerata dagli orgolesi, che ad essa offrono da sempre numerosi doni e si raccomandano invocandone la protezione. Su Mes’austu orgolese vede la partecipazione di un numero enorme di turisti e visitatori. Fra le altre ricorrenze religiose, il patrono San Pietro viene festeggiato il 29 giugno con una serie di cerimonie religiose e civili, il 25 aprile si celebra la festa di San Marco, mentre la prima domenica di giugno ricorre la festa dei Santi Anania ed Egidio. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi è la festa de Sa Candelarìa, celebrata il 31 dicembre. La ricorrenza vive di due momenti distinti: al mattino i bambini, muniti di un sacco di tela bianca, si recano nelle case a chiedere Sa Candelarìa, costituita da un pane tipico, Su Coccone ’e Sa Candelarìa, frutta, dolci e soldi; il rituale prevede la richiesta con la frase: «A no’ la dazzes Sa Candelarìa?» (“Ci date la Candelarìa?”) e, una volta ricevuti i doni, il ringraziamento con la formula: «Deus bo’ lu pahede e a atteros medas annos!» (“Dio vi ricompensi e ad altri molti anni”); alla sera la festa si sposta nelle case delle coppie sposatesi nel corso dell’anno e Sa Candelarìa viene chiesta con gli auguri di Buon Anno e di prosperità per la nuova famiglia. Le vie si animano di giovani e adulti che intonano, spesso a tenore, motivi tradizionali come «Biva biva s’allegria» e «Dazzenollu su coccone» (“Dateci il pane”). Gli sposi ricevono gli auguri e offrono agli ospiti un ricco rinfresco con bevande e dolci. La visita si conclude con altri canti augurali per il futuro, «Bona notte e bonos annos!».
Il canto a tenore Orgosolo ha una grande tradizione nel canto a tenore, una delle grandi passioni dei giovani del paese. Su tenore orgolese conserva caratteristiche peculiari e autonome, soprattutto per il suono, fornito da un’apertura vocalica non riscontrabile in altre tradizioni, e per il grande senso poetico e musicale di alcune sue voci. Fra queste non si può non citare quella di Giuseppe “Peppino” Marotto, figura carismatica e voce solista in alcuni dei più conosciuti cori del paese, ma anche poeta, attivista politico e sindacalista. Marotto, scomparso tragicamente alla fine del 2007, ha rappresentato indubbiamente uno dei massimi interpreti del canto a tenore orgolese. Nei suoi testi, intensi ed ispirati, emergono il profondo amore per Orgosolo e la passione per l’impegno politico e sociale. Verso la metà del Novecento alcuni gruppi orgolesi sono stati fra i primi a diffondere questa antica forma musicale oltre i confini regionali, caratteristica comune ad altri cori sardi negli anni successivi. Il Coro di Orgosolo incideva già agli inizi degli anni Sessanta per una etichetta nazionale, esibendosi sia in Italia che all’estero. Nel 1969, a seguito della lotta di Pratobello, il Gruppo Rubanu scrive uno dei primi testi a sfondo politico, il famoso canto Pratobello. L’eredità dei gruppi storici viene continuata dai tenores più giovani, molto attivi e presenti in tutte le piazze della Sardegna, del continente e all’estero.
Pratobello 1969 Alla fine degli anni Sessanta il Ministero della Difesa decise di occupare una vasta porzione dei terreni comunali di Orgosolo, circa 13 mila ettari, per destinarli a poligono di tiro ed esercitazioni militari. Questa frazione di terreno ricadeva nel territorio comunale pubblico, da sempre adibito a pascolo e allevamento del bestiame. La decisione delle autorità fu oggetto di varie discussioni e dibattiti fra la popolazione, alimentati dalla fervida attività del “Circolo Giovanile” che con una serie di volantini ciclostilati sensibilizzò la popolazione e organizzò la prima assemblea. La situazione precipitò rapidamente alla fine di maggio del 1969 e conobbe la sua massima crisi nel mese di giugno. Dopo varie assemblee popolari e interventi politici e sindacali più o meno infruttuosi, i reparti dell’esercito iniziarono a disporsi sulle aree interessate per organizzare quello che sarebbe dovuto diventare un poligono permanente per il tiro e le manovre militari. Orgogliosi e legati in modo quasi morboso alle loro terre, unica fonte di sostentamento e di lavoro per molte famiglie, gli orgolesi insorsero e occuparono in massa le località interessate dalle esercitazioni. Il 9 giugno, in località “Pratobello”, quasi ai confini col salto di Fonni, circa 3500 persone iniziarono l’occupazione dei campi, cercando di far capire ai militari il punto di vista della popolazione. Più di tutti furono le donne a instaurare un dialogo privilegiato con i soldati. Molti di loro inizieranno a capire le ragioni della gente e impareranno anche a diffidare di chi aveva descritto gli abitanti del paese come banditi. Fu una occupazione pacifica ma frenetica, con i manifestanti che per tanti giorni corsero sotto il sole tenendo occupato l’esercito per impedire le esercitazioni e chiedendo, attraverso i volantini, «concimi, non proiettili» per quelle terre. Nonostante la tensione, che portò a qualche screzio con i soldati, si trattò di una protesta assolutamente incruenta ma anche assolutamente intransigente, che vide interi nuclei familiari uniti per impedire lo sgombero e l’accesso alle zone di tiro. Gli avvenimenti assunsero una grande risonanza, provocando interrogazioni parlamentari e diventando un caso politico nazionale, e catapultarono Orgosolo nuovamente all’attenzione dei media, questa volta per motivi ben diversi dai soliti episodi di malessere. La maggior parte dei giornali assunse però un atteggiamento critico nei confronti della lotta, tentando di politicizzare gli avvenimenti ma allo stesso tempo anticipando quello che sarebbe diventato con gli anni un importante problema per la Sardegna, quello delle servitù militari. La decisione e anche la testardaggine degli orgolesi, oltre a evidenti accordi fra le forze politiche, ebbero alla fine la meglio. Il ministero fece marcia indietro, comunicando il 26 giugno che il poligono di tiro non sarebbe stato più permanente ma limitato a un periodo di due mesi. Pratobello è stato un avvenimento-cardine nella storia recente di Orgosolo: una grande mobilitazione di massa e insieme un segno di civiltà e di senso profondo della comunità. In un’epoca in cui le notizie e le informazioni correvano certamente meno veloci di oggi e senza l’ausilio di un grande movimento solidale, il paese dimostrò nella vicenda coraggio e lungimiranza opponendosi a una decisione sconfessata poi dalle stesse autorità. La vicenda ha lasciato strascichi indelebili su coloro che l’hanno vissuta in prima persona, sulle generazioni future orgolesi e in tutta l’opinione pubblica della Sardegna dell’epoca. Pratobello ha sancito l’affermazione di Orgosolo come simbolo di ribellione e di protesta di tutta l’isola contro uno Stato distante dai reali interessi di un territorio bisognoso allora come oggi di politiche economiche adeguate, investimenti e infrastrutture. Nicolò Giuseppe Rubanu commenta così l’episodio nei suoi versi:
Orgòsolo pro terra de bandidos
fin’a eris da-e totu’ fis connota
ma oe a Pratobello tot’ unidos
fizos tuos falado’ sun in lota
contra s’invasione militare
ki a inie fi faghende lota...
Testi di Nicola Rubanu