SARDEGNA ARCHEOLOGICA
GUIDE E ITINERARI
Carlo Delfino editore
E. Acquaro
C. Finzi
THARROS
Tharros fra storia e archeologia
Le fonti classiche che riportano con diverse varianti il nome di Tharros, da ricondurre ad una base mediterranea *tarr_, ampiamente attestata, sono poche e tutte riferibili all’epoca romana. Le brevi menzioni, presenti per lo più in testi geografici o in opere di compilazione enciclopedica, concordano tutte nel localizzare la città sulla costa occidentale della Sardegna.
La città del Capo San Marco dovette costituire un’importante stazione nell’ambito della strada litoranea occidentale che già in epoca punica, con partenza da Carales (Cagliari), toccava le città del Sulcis e dell’Oristanese, giungendo sino a Turns Libisonis (Porto Tones). Tale litoranea, soprattutto per quel che riguarda i tronchi che si diramano dai centri di Nora e di Tharros, non si modificò al momento dell’occupazione romana e non fu mai sistematicamente inquadrata in un sistema viario unitario. Cura che andò invece alla strada che collegava direttamente per l’interno Carales a Turns Libisonis, più frequentata e importante sia dal punto di vista economico sia da quello militare. Del resto il potenziamento della funzione di Forum Traiani (Fordongianus), già centro punico, come stazione chiave della strada Carales-Turris, costituiva la più valida protezione della bassa valle del Tirso e quindi delle stesse città dell’Oristanese.
La litoranea occidentale che toccava Tharros rimane quindi in epoca romana emarginata rispetto alla grande viabilità sarda, ma non per questo meno importante per l’economia dell’isola, come attestano l’itinerario Antonino e un cippo miliare rinvenuto a Cabras nell’Ottocento. All’itinerario Antonino (II-III secolo d.C.) dobbiamo la distanza che separava nel tronco viario occidentale Thanos da Comus, 27 chilometri, e Tharros da Othoca (Santa Giusta), 18 chilometri. Il cippo miliare romano attesta ancora nel 244, sotto l’imperatore Filippo, l’esistenza del tratto a Tharros Cornus, ponendo Tharros come stazione di partenza verso il nord. Menzioni di Tharros è possibile reperire sempre nell’ambito delle compilazioni geografiche e dei compendi della tarda romanità fino al medioevo, quali l’Anonimo Ravennate (VII secolo d.C.), Giorgio Ciprio (VII secolo d.C.), Leone Sapiente (IX secolo d.C.).
Le altre notizie che possono riferirsi a Tharros nelle fonti storiche ed epigrafiche non sono ricavabili da citazioni esplicite, bensì da probabili riferimenti ambientali e dalla valutazione di alcune vicende e sistemazioni territoriali che investono l’intera isola sotto Roma. Da qui la notizia che avrebbe visto Thanos schierarsi nel 77, durante la lotta tra Mario e Silla, dalla parte della nobiltà senatoria e della causa sillana; la probabile elevazione entro il I secolo di Tharros a municipio di cittadini romani, insieme a Nora e Sulcis; la ipotizzabile presenza a Tharros di un distaccamento della flotta del Miseno a protezione dei traffici con la Gallia meridionale e la Spagna. Questi i brevi cenni che la storia e l’epigrafia ci danno sulla città.
Ben altri e di più vasta portata sono i dati che restituiscono l’archeologia e la natura del sito. Le rovine di Tharros si dispongono sul Capo San Marco, posto a 390 52’ 20” di latitudine nord e 4° 0’ 50” di longitudine ovest dal meridiano di Monte Mario. Il promontorio, che costituisce l’estrema propaggine della penisola del Sinis, si protende per circa tre chilometri nel mare chiudendo ad occidente il Golfo di Oristano. Due zone rilevate, di poco superiori a 50 metri s.l.m., sono collegate da una sottile striscia di terra quasi al livello del mare: da nord verso sud, esse sono la collina, di su muru mannu, separata da una breve depressione dalla collina della torre di S. Giovanni, e l’estrema punta da Capo, costituita da una piattaforma rilevata con a nordest la “Torre Vecchia”.
Le vicende geologiche della penisola del Sinis sono alquanto recenti: le formazioni che vi affiorano sono costituite da una serie di strati del Pliocene inferiore, per lo più in giacitura sub-orizzontale, con una sedimentazione che risale a circa 12 milioni di anni fa. Sedimentati su calcari più antichi del Miocene superiore, gli strati del Pliocene sono stati a loro volta ricoperti da colate basaltiche del Quaternario, da sabbie e da un conglomerato conchigliare marino del Tirreniano. Il Capo San Marco, che costituisce la parte geologicamente più rappresentativa di tutta la Penisola, restituisce una completa sequenza stratigrafica del Pliocene inferiore. Evidente è anche la colata basaltica che tra la fine del Cenozoico e l’inizio del Quaternario copri sul capo tali strati. Il basalto presenta caratteristiche diverse sia nella compattezza (più o meno fratturata, più o meno vacuolare) sia nella colorazione (dal grigio violaceo scuro al rossastro). Depositi quaternari di panchina tirrenica, che poggiano su un’arenaria eolica giallastra e sono coperti da depositi di sabbia eolica fissata più o meno regolarmente dalla vegetazione, completano in alternanza con la colata basaltica la copertura degli strati del Pliocene.
Sia le rocce di tipo basaltico sia quelle di tipo arenaceo sono impiegate nelle costruzioni di Tharros e negli arredi monumentali. La diversità delle intrinseche proprietà costituzionali e del colore, grigioviolaceo il basalto e gialloavana l’arenaria, danno luogo ad una alternanza quasi costante, e perciò tipica di Tharros. La durezza della roccia basaltica è attenuata dalla fratturazione determinata dal raffreddamento iniziale rapido della colata e dall’azione successiva dell’erosione: da qui il suo impiego nelle strutture di ogni epoca, negli edifici nuragici, nelle mura di cinta puniche e romane, nei basolati e nelle soglie delle abitazioni, nel battistero paleocristiano, nelle macine... La roccia arenaria, lavorata lungo i piani di stratificazione, è impiegata largamente a Tharros per la realizzazione di blocchi edili più o meno squadrati o di monumenti votivi quali stele ed altari. Dune sabbiose leggermente ondulate e fissate da scarsa vegetazione coprono oggi la zona settentrionale della penisola di capo San Marco, le stesse che sospinte dai venti di ovest e nordovest hanno ricoperto e conservato i ruderi della città.
La zona orientale della penisola, riparata dai venti che spirano dal quadrante settentrionale e nordoccidentale, è interessata all’accumulo di materiale alluvionale portato dal Tirso nel suo sbocco al Golfo e sospinto verso settentrione dalle correnti di sottocosta. Il litorale occidentale, sottoposto ai venti dominanti del quadrante nordoccidentale, è oggetto di una forte erosione dovuta all’alta energia meccanica del mare: da qui il modellamento della costa del tipo falesia e l’arretramento graduale della costa con profonda erosione delle necropoli meridionale e settentrionale.
L’azione dei venti e la consequenziale dinamica delle onde marine hanno determinato l’insediamento della città nella zona che più vi si adattava morfologicamente, il leggero declivio che si pone sul versante orientale del promontorio, riparato dalle alture su cui sorge la Torre di S. Giovanni e da quella di su muru mannu, a presidio dell’entrata del Golfo. Su questo Capo, riportato in quasi tutte le antiche carte nautiche, dalla carta pisana del XIII secolo a quelle di Pietro Visconti del 1311, di Angelino Dalorto del 1325, di Battista Becharius del 1435, si pongono i resti di una delle più fonde città dell’antico Mediterraneo.
La felice posizione del sito spiega la più che millenaria storia della città, posta com’era a controllo delle coste del Sinis e dell’Oristanese e quindi delle due grandi vie naturali di penetrazione verso l’interno, il Campidano verso sudest e la valle del Tirso verso nordest. Di questa lunga vita le fonti romane, come si è visto, consegnano alla storia solo una minima parte. Agli scavi si deve il recupero dell’intera sequenza abitativa del Capo. Si tratta di un processo lungo, ormai pienamente inserito grazie alle recenti ricerche in una più vasta ambientazione protostorica e storica mediterranea di cui la Sardegna è parte integrante.
Il vasto villaggio scoperto sulla collina di su muru mannu, il nuraghe Baboe Cabitza sulla punta del capo sono ormai documenti evidenti di un insediamento protosardo che già dal Tardo Bronzo utilizza il sito e su questo modella le prime scelte topografiche che guideranno i successivi impianti punico e romano. Proiezione di un’intensiva economia protosarda agropastorale resa ancora più florida dalla pesca certamente praticata nelle migliaia di ettari degli stagni intemi, residui del mare miocenico, il villaggio di su muru mannu costituisce già in quell’epoca, con la sua complessa planimetria e l’antemurale che ne doveva delimitare il perimetro verso l’attacco alla penisola, il primo nucleo di un insediamento che si confronta senza complessi con le coeve civiltà mediterranee. Civiltà che dal Levante egeo e dal Vicino Oriente fenicio dovettero ben presto conoscere gli approdi protosardi di Tharros.
Le frequenze fenicie seppero più di altre mettere a frutto le conoscenze acquisite e le scelte, che l’insediamento protosardo aveva operato nel biosistema del Sinis. Da qui la nascita della città che, a giudicare dalle fonti archeologiche, non fu preceduta da nessuna distruzione: le strutture nuragiche rinvenute sotto i monumenti punici e romani non mostrano infatti traccia alcuna di violenza, ma documentano soltanto una fase di abbandono cui seguì una più o meno volontaria collaborazione all’edificazione del nuovo impianto fenicio, da porsi intorno alla fine dell’ViTi secolo a.C. Lo stesso sito accoglierà le scelte della città fenicia: il tofet sui resti del villaggio protosardo di su muru mannu; gli impianti portuali sul versante orientale della penisola, la necropoli a incinerazione in prossimità della torre spagnola nota come Torre Vecchia. Dal VI secolo a.C. in poi anche Tharros è investita dall’interesse territoriale di Cartagine. La città si amplia grazie a nuovi apporti di popolazione e ad un più mirato programma di integrazione/confronto con l’elemento indigeno e si fortifica in linea coi dettami della più accreditata scienza poliorcetica del tempo. E l’apertura delle tombe ipogeiche a sud-est della torre spagnola di San Giovanni; è l’impianto delle mura e del fossato che rettificano, riattano e proseguono verso occidente, lungo la curva di livello della collina di su muru mannu, la linea dell’antemurale nuragico; è, qualche secolo dopo, l’ampliamento della zona cimiteriale nel vasto ripiano marnoso che si pone nel litorale a nord-ovest della città; è l’edificazione del grande tempio monolitico e del tempietto di Capo San Marco. Contribuiscono alla floridezza della nuova fase del centro urbano i contatti sempre più stretti con l’Africa e la Spagna, mentre il commercio con le città greche e tirreniche segue la politica di Cartagine con ampia apertura verso mercati attici e etruschi. Di rapporti commerciali di Tharros con Marsiglia fanno fede in particolare due stele funerarie con iscrizioni greche, datate al IV secolo a.C. e conservate nel Museo Nazionale di Cagliari. La dignità civica di Tharros punica si confronta alla pari con le più prestigiose città del territorio cartaginese, potendo forse come poche contare sull’intensivo sfruttamento di un ricco territorio che da tempo aveva sperimentato i più razionali termini di produttività agricola.
La conquista romana, con l’esaltante parentesi di Ampsicora che trae proprio dal Sinis e con ogni probabilità dal porto di Thanos la forza economica e umana per la rivolta antiromana, eredita una città certamente in crisi, ma intatta nelle sue potenzialità economiche. In età imperiale l’impianto punico è investito in pieno dall’urbanismo romano: è l’epoca dei Flavi (69-96 d.C.), degli Antonini (138-192 d.C.) e in particolare dei Severi (193-235 d.C.), in cui le ricchezze delle campagne confluiscono nella città. Intenso è il rinnovamento edilizio; Tharros riceve un lastricato in basalto, che razionalizza la rete viaria, edifici termali e un acquedotto, che le danno quell’aspetto
monumentale che il lungo periodo di abbandono e l’insabbiamento eolico hanno consegnato ai moderni scavi archeologici. Una necropoli con tombe sempre di età imperiale consacra con il suo impianto nel fossato difensivo la fine di un’epoca, ma non di una vocazione civica. Sino all’ultima sua storia antica Tharros orbiterà in quell’ambito africano cui Cartagine l’aveva legata, non trascurando tuttavia i legami con gli altri paesi del Mediterraneo occidentale e con la stessa penisola italiana.
Ma proprio dall’Africa Tharros, come Nora, come Sulcis, riceverà i portatori della sua profonda crisi: i Vandali. I rifacimenti e il riattivamento di opere difensive operati a Tharros fra il III e il IV secolo d.C. sono eloquenti segni dell’attenzione posta verso il nuovo pericolo. Nelle confuse temperie che seguiranno, e che videro protagonisti Goti, Longobardi, Arabi e il malgoverno bizantino, l’esperienza cristiana è l’unica a restituire per qualche secolo Tharros alla memoria storica: sono la basilica di San Marco con il battistero e la chiesa di San Giovanni a darci l’ultimo riflesso della dignità urbana del centro con l’attestazione in esso di una sede episcopale. Prima sede politica del giudicato di Arborea, Tharros non riuscì però a sottrarsi a una irreversibile decadenza fino al suo definitivo e ufficiale abbandono al cadere deII’XI secolo, probabilmente per volere della giudicessa Nibata, con conseguente trasferimento del centro dello Stato a Oristano. Per almeno un secolo però Tharros rimane ancora evidente nella materialità dei suoi edifici, pur trasformati in cava di pietra per i nuovi centri urbani del Giudicato d’Arborea. Nel 1183 infatti la visita un famoso viaggiatore arabo, Mahmud Ibn Giobair, il quale, mentre da Maiorca fa vela verso oriente per recarsi alla Mecca, viene costretto da una tempesta a rifugiarsi nel porto di Kusmrka (Cosmarca) “dove - scrive Ibn Giobair - si trovano i resti di una città, sede di Giudei nei tempi antichi”.
Ma il porto di Kusmka è il capo San Marco e i Giudei sono i Punici, che il pio musulmano confonde con gli Ebrei per la comune-stirpe semitica. Evidentemente, perso il suo rango di capitale del Giudicato, abbandonata dagli abitanti, Tharros è ancora ben visibile a naviganti e pellegrini. Dopo sarà il silenzio delle sabbie, che la copriranno nei secoli.