Era nata, al di la della retorica, la festa del Redentore, destinata negli anni a diventare una delle più importanti manifestazioni religiose ed insieme turistiche della Sardegna, in un susseguirsi di alterne vicende direttamente connesse al rapido processo di trasformazione di Nuoro da piccolo borgo di pastori e contadini in capoluogo della terza provincia dell’Isola istituita dal regime fascista nel 1926.
Nel giro di pochi anni Nuoro modifica profondamente il proprio assetto sociale: con l’istituzione della Provincia, un nuovo ceto impiegatizio di provenienza esterna va ad occupare gli uffici e le nuove strutture burocratiche. Lo stato fascista interviene direttamente nella organizzazione del tempo libero e festivo attraverso l’Opera Nazionale Dopolavoro e dunque anche della festa del Redentore assunta come la più rappresentativa ricorrenza della nuova provincia.
L’Opera Nazionale Dopolavoro si trovò nel giro di qualche anno a sostituire i comitati spontanei che in tempi di ristrettezze si limitarono a ricordare la ricorrenza. I segni del nuovo assetto sociale incisero sulle manifestazioni tradizionali e sui programmi; i festeggiamenti “civili” del 1935 per esempio compresero sia manifestazioni tradizionali quali i canti popolari, i fuochi d’artificio, le corse di cavalli, l’albero della cuccagna, i concerti bandistici, che una serie di iniziative di taglio diverso quali le proiezioni del carro cine-sonoro dell’O.N.D. in piazza del Rosario; la mostra delle vetrine con premi, le gare sportive; ma soprattutto si istituivano la Sagra del costume e la sfilata del corteo dei costumi regionali. Il comitato stabilì anche di assegnare “bellissimi premi” per le finestre e le terrazze meglio addobbate nel periodo dei festeggiamenti e particolare curioso, tutti coloro che avessero potuto raggiungere Nuoro avrebbero usufruito di ribassi del 50% sulle tariffe ferroviarie in tutte le stazioni dell’Isola.
Gli elementi più significativi del mutamento sociale, oltre alle gare automobilistiche, ai saggi ginnici, al parco dei divertimenti, di chiaro carattere urbano, risultano l’istituzione della Sagra del Costume e dei relativi premi. Negli stessi anni emergeva un altra fondamentale esigenza direttamente connessa alla Sagra: la valorizzazione e l’utilizzo dell’Ortobene, come località di villeggiatura. Fin dagli ultimi anni dell’800 il Monte era limitata meta turistica delle agiate famiglie nuoresi che vi trascorrevano parte dell’estate costituendo una comunità le cui rumorose riunioni, contrassegnate dagli immancabili arrosti e dalle inevitabili ubriacature, furono descritte da giornalisti, scrittori e poeti nuoresi dell’epoca.
Gli anni ’50 segnarono il definitivo inserimento di diverse feste popolari sarde nel mercato turistico. La politica promozionale della Regione Sarda, svolta prioritariamente dall’ESIT, guardò a tali aspetti con particolare attenzione e la Festa del Redentore, sia perché si svolgeva nel capoluogo del territorio “più fascinoso e selvaggio dell’isola”, sia per la sua spettacolarità non poteva essere trascurata. La sagra del Redentore diveniva con la Sagra di Sant’Efisio di Cagliari e la Cavalcata Sarda di Sassari il più importante appuntamento del folklore sardo. ad essa l’Ente provinciale per il Turismo, divenuto il fulcro di ogni iniziativa di livello, associava l’organizzazione di manifestazioni di notevole valore culturale quali il “Premio Grazia Deledda”che presto si affermò come il più importante premio per inediti in campo nazionale, l’allestimento nel 1961 della Mostra Etnografica Sarda, nel complesso del Museo del Costume, appena edificato e infine negli anni successivi con una serie di mostre d’arte, alcune delle quali furono eventi memorabili per l’arte sarda contemporanea.
La trasformazione della processione in avvenimento di grande interesse turistico aperto ad una utenza diversa da quella tradizionale creò non poche preoccupazioni nelle autorità ecclesiastiche, che pure tali trasformazioni avevano ampiamente favorito. Il vescovo disponeva l’osservanza delle seguenti norme:
1. E’ vietato ai cavalieri di prendere in groppa le donne;
2. Non si portino fisarmoniche, né pipe, ne ci si allontani dalla processione per farsi dare delle bibite;
3. Si eviti di portare cose estranee alla processione: cestini, barilotti, dolci, etc.,
4. Tra gruppo e gruppo non ci siano delle interruzioni;
5. Chi assiste ai margini della processione abbia il dovuto riguardo a chi sfila e si eviti il fastidio di chiedere ai medesimi il nome del proprio gruppo, che è facile spesso riconoscere e che si può chiedere a tanti altri vicini che assistono;
6. Si condanna esplicitamente il comportamento di certi giovani che spesso hanno dimostrato di non avere nessuna educazione al passaggio dei gruppi femminili;
7. I sacerdoti intervengano in cotta alla processione, impegnandosi a dare ordine ai gruppi, facendoli cantare e pregare;
8. Vietiamo ai sacerdoti di qualunque diocesi di intromettersi nel corteo processionale per scattare fotografie;
9. Si cantino solo inni religiosi;
10. I gruppi partecipanti, di ritorno della processione, si fermino in Cattedrale per la benedizione Eucaristica che conclude la sacra manifestazione;
11. Chi non crede di potersi attenere a queste norme faccia a meno di partecipare alla processione, farà anzi un grandissimo piacere.
In realtà non era possibile ricondurre la manifestazione al clima e al significato propri di una cerimonia religiosa; gli inconvenienti lamentati dall’autorità ecclesiastica continuarono al punto che nel 1964 si prese la decisione di abolire la processione in città; questa divenne un semplice corteo di gruppi folkloristici con finalità e utenza esclusivamente turistiche, complementare al Festival Regionale del Folklore. Con un compromesso i gruppi in costume vennero invitati a partecipare ad una breve processione sul monte Ortobene, dopo la Messa all’aperto del 29 agosto. L’imbarazzante confusione tra sacro e profano era stato eliminato con soddisfazione della Chiesa e dell’ETP, che continuò a dare il proprio contributo anche per l’organizzazione delle manifestazioni religiose sul Monte Ortobene.

Il pellegrinaggio, il più antico atto di devozione dei nuoresi nei confronti del Redentore e che sancì la nascita della festa segue oggi un percorso abbastanza differente da quello che si adottava fino agli anni ’40, quando ancora non era stata tracciata l’attuale strada. L’antico tragitto, che aveva tempi di percorrenza molto più lunghi, si snodava attraverso località ricche di storia i cui nomi bastano a dare un’idea del fascino e delle suggestioni che esercitano e a cui sono legate leggende della Nuoro del passato: sas Ladas, sa’ e Mariolina, Murrone, sa ‘e Corbedda, s’Iscala ‘ e s’impredau (vecchia carreggiata costruita probabilmente dai carbonai nell’800), sa Preda Pintada,, s’Elicheddu ‘e sas oras, sa ‘e sos Frores, s’Iscala de sas Lonzas, sa Conca ‘e sos Prades, sa ‘e Cuai, su Badu de sa ‘e Sos Frores, Ribu ‘e Seuna (dove secondo la tradizione sorse il primo villaggio i cui abitatori, scesi successivamente a valle, si stabilirono nell’attuale sito di Seuna, il più antico nucleo abitativo di Nuoro), sa Preda Tunda (“la pietra tonda” che, secondo una leggenda popolare, se viene girata viene fuori un tesoro – tuttavia a chi ci provò la pietra rispose: commo isto mezus: adesso sto meglio), Milianu, Intr’e Bias, sa ‘e Lallanu, sa tanca ‘e Mussennore, sa ‘e Porcheddu, s’iscala ‘e su Napolitanu, sa Sedda de nostra Sennora.
L’attuale percorso composto di 13 stazioni, attraversa invece dopo sas Ladas le località di ponte di Capparedda, sa ‘e Lodè, sos Eliches Artos e si ricongiunge nella zona di sa ‘e sos Frores.
Tra i canti di Deus ti sarbet Maria e di Su perdonu i pellegrini raggiungono dopo circa due ore la statua del Redentore dove si celebra la prima messa. Attorno alle 11, alla presenza del Sindaco e della Giunta comunale, le Autorità ecclesiastiche nuoresi celebrano la messa solenne; i canti sacri: Su perdonu, Ave Maria de su Rosariu, Su Babbu Nostru, vengono eseguito dai cori nuoresi. Subito dopo la messa si svolge la breve processione lungo l’anello stradale del Monte accompagnata dai Gosos in onore del Redentore.