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Sassarese Le Vie del Gusto
SAPORI ANTICHI E GENUINI
Un territorio ricco e diversificato che si rispecchia
nell’eccellenza dei suoi prodotti e della sua cucina.
Morbide colline e rade pianure contornate da tavolati calcarei, altipiani basaltici, massicci granitici e coni di vulcani spenti da millenni, rocce addolcite dal lavorio del mare alternate a lunghe spiagge sabbiose, caratterizzano il Nord della Sardegna, regione dolce e aperta che offre una continua varietà sia dei paesaggi che dei prodotti che si ritrovano nella tavola. Per apprezzare al meglio le peculiarità dei prodotti della zona è opportuno soffermarsi ogni tanto e immergersi nella cultura e nella natura, che fanno di questa isola uno dei gioielli più preziosi del Mediterraneo. Gli aromi e i sapori originano da una civiltà antica e misteriosa, ricca di significative testimonianze, che hanno avuto la loro sublimazione nel contesto delle feste legate ai cicli della vita e del tempo. Le feste erano occasione per grandi incontri conviviali che rompevano i ritmi severi e duri della vita agropastorale: i matrimoni, la Pasqua (sentita anche più del Natale), le commemorazioni dei santi e dei morti, le celebrazioni per i raccolti, le feste patronali e le sagre a sfondo religioso. A ogni occasione corrispondeva un dolce, una pietanza, una specialità diversa. Attraverso il folklore, come attraverso la storia e la natura, si scopre la vera anima dei sapori della Sardegna. Anche il pane qui assume una grande importanza: può essere utilizzato sia per il consumo quotidiano che per la preparazione di primi piatti, tra cui pan ‘a fittas e la zuppa gallurese. Rinomate sono la spianata (pani latu o pani lentu) di Ozieri e della Gallura, di forma circolare, morbida, flessibile, senza mollica, o le grandi pagnotte di Tissi, Osilo e Usini, eccellenti quanto il pane zichi (nelle varianti morbida o secca), tradizionale di Bonorva, Cheremule, Cossoine e Olmedo.La lavorazione del grano raggiunge il suo culmine, sfiorando l’arte effimera, con la produzione di dolci: acciuleddhi, mendegadas, trizzas od origliette tipici del periodo carnevalesco gallurese così come le frisjoli longhi (frittelle lunghe), l’aranzada a base di scorza di arance candite nel miele e mandorle del Goceano. Che dire delle copulette o copulettas col bordo ondulato, diffuse nel Logudoro e in particolare a Ozieri, dove è possibile scoprire tra i dolci tipici anche i “sospiri”, praline di morbida pasta di mandorle e miele, ricoperte da una leggera glassa? Ma la perfetta sintesi tra il dolce e il salato sono le casadinas o pardulas, sfoglie di pasta di forma tondeggiante, arricciate sui lembi, ripiene di formaggio o ricotta, preparate in occasione della Pasqua e del Natale. Forse più conosciute e diffuse in tutta l’isola le seadas o sebadas, focacce di pasta di grano duro ripiene di formaggio, fritte e coperte di miele di corbezzolo. L’uso del formaggio nei dolci è legato indissolubilmente alla tradizionale attività delle popolazioni sarde nel corso dei millenni: la pastorizia.
Il re dei formaggi è il pecorino, al punto che in Sardegna ci sono tre Dop: Pecorino sardo, Pecorino romano, Fiore sardo. Ottimi quelli di Nule e di Osilo, e il nuovo erborinato di Thiesi, chiamato ovinfort. Straordinarie le perette di latte vaccino intero, soprattutto quelle di Berchidda e Perfugas. Dai formaggi alle carni il passo è breve. Il pregio delle carni isolane è costituito dagli allevamenti allo stato brado, siano ovini, bovini o suini. Tra le eccellenze spiccano l’agnello sardo Igp, il prosciutto di pecora di Ploaghe, stagionato fino a sei mesi, e la salsiccia sarda, prodotta un po’ in tutta l’isola. La generosità del territorio si ritrova anche nei vini Doc tipici del territorio: il vitigno rosso Cagnulari, tipico di Usini e Alghero, il Cannonau prodotto in ogni parte della Sardegna, il Moscato di Sorso- Sennori, il Torbato di Alghero, vitigno vinificato da solo per ottenere l'omonimo vino e come base per un ottimo spumante brut, il Vermentino di Gallura Docg. Altri piatti da ricordare sono l’aragosta alla catalana, tipica di Alghero, la zuppa Castellanese propria di Castelsardo, i due storici insediamenti genovesi;i ravioli di ricotta e gli arrosti di maialetto o di agnello, gli ortaggi gustosi e saporiti. Il Nord Sardegna vi aspetta per un vero e proprio viaggio nella tradizione e nel gusto.
DI ORNELLA D’ALESSIO
IL
SASSARESE
Terra calcarea dalle tenere forme rotonde come una bella donna, il Sassarese offre una cucina varia come il suo territorio. Dalle falesie di Capo Caccia alle colline punteggiate di chiesette romaniche, le mitiche lumache del capoluogo e l’aragosta di Alghero ben si accoppiano con la pecora, i piedini d’agnello e le altre prelibatezze della gastronomia rurale.
Il tutto accompagnato dallo splendido pane di Ozieri e da numerosi vini di eccellenza.
Il Sassarese
GENUINITÀ E TRADIZIONE
Queste le parole chiave di una cucina ricca
e diversificata come il suo paesaggio, ora bagnato dal mare,
ora dolce e verdissimo, ora aspro e selvaggio.
In Sardegna esistono tante, tantissime culture diverse del mangiare. Nel Sassarese, più che altrove, questa ricchezza è molto evidente. Non solo perché è la provincia più vasta, che occupa tutta la parte settentrionale dell’isola, ma anche per la varietà del territorio e del paesaggio che passa dalle spiagge alle distese di vigne e cereali, dalle colline alle montagne.
Il nostro viaggio gastronomico comincia da Sassari, seconda città sarda per numero di abitanti e importanza storica, dopo Cagliari. La cultura gastronomica cittadina è da sempre in grado di elevare e valorizzare le cose più povere. Non a caso è la patria di grandi mangiatori di lumache e contende alla Francia il primato di chi ha cominciato ad apprezzare questo cibo, partendo dal fatto che negli insediamenti umani protosardi, fra Sassari e Porto Torres, sono state ritrovate enormi quantità di gusci.
Questo “amore” continua tutt’oggi e i sassaresi sono golosi di lumache di ogni genere. Raccontano i vecchi che anche nei momenti più duri è sempre stato facile riempirsi la pancia: per fare mangiare tutta la famiglia bastava trovare due chili di lumache, un po’ di pomodori, qualche uovo e una spruzzata di peperoncino.
Altra abitudine alimentare nata in città, diffusasi poi in tutta l’isola, è quella dei piedini d’agnello. La spiegazione è semplice. Tutt’intorno a Sassari c’erano moltissime concerie, che dell’agnello usavano tutto eccetto appunto i piedini. E così c’era chi andava a raccoglierli per venderli. Poi le donne li pulivano, li bollivano e li preparavano, spesso, nel sugo piccante dell’agliata.
Legato invece alla storia e ai commerci con i genovesi è il successo della fainè, che dai caruggi della Superba, dove è chiamata farinata, è arrivata fino qui ed è a tutt’oggi molto apprezzata. Della cucina tradizionale fa parte anche la carne d’asino.
Come un’isola nell’isola, Alghero fa storia a sé, in tutto. Il suo passato parla catalano, lingua usata ancora oggi tra la gente, nei nomi delle strade e nelle tradizioni. Nelle abitudini alimentari troneggiano i piatti di mare, spesso legati ai crostacei. Le aragoste di Alghero, rinomate fin dall’antichità, regnavano sovrane anche sulle tavole dei romani condite con il garum, una salsa a base di pesce fermentato, sale e vino. Lungo la costa della Riviera del Corallo, nella parte nord-occidentale della Sardegna, si trovano ancora oggi relitti di navi romane cariche di anfore per il trasporto di questo condimento. Le imbarcazioni partivano da Cadice, in Spagna, dove erano specialisti nella preparazione del garum, e veleggiando verso Roma imperiale facevano tappa ad Alghero per caricare le aragoste. Poi per alcuni secoli la storia non lasciò spazio alle ricercatezze gastronomiche, fino alla fine dell’Ottocento, quando i crostacei algheresi tornarono così in voga che i velieri aragostai della zona dovettero solcare tutti i mari per rifornire le tavole più raffinate d’Europa.
La regina Elisabetta d’Inghilterra le volle inserire nel menu del suo pranzo di nozze e ancora oggi spesso gli chef di Chez Maxime, a Parigi, le propongono tra i loro piatti. Non a caso una delle ricette più conosciute, l’aragosta alla catalana, è nata qui nel 1949 dalla fantasia di Lepanto Cecchini.
Suo figlio Moreno ha continuato l’eredità del padre e al ristorante “La Lepanto” si possono gustare piatti vincitori di premi internazionali: per esempio la coloratissima aragosta all’algherese dal singolare gusto dolce e amarognolo (il crostaceo bollito viene tagliato a tocchetti, e poi condito con arance, limoni, pomodori, olio, sale, pepe, alloro, prezzemolo e origano).
Immancabile la visita alle cantine Sella e Mosca, azienda storicamente impegnata nella valorizzazione delle uve locali (Torbato e Cagnulari) e nello sviluppo di vitigni d’importazione (Chardonnay, Sauvignon, Cabernet e Sangiovese). Interessante il museo contiguo all’enoteca e la necropoli di Anghelu Ruiu, ai margini della proprietà.
La tradizione dei piatti di mare sulla costa settentrionale continua da Stintino, con le zuppe di pesce, i crostacei e i polpi e con le papate, antico piatto marinaresco della zona, fino a Castelsardo, nota soprattutto per i pesci di scoglio. Bastano però pochi chilometri verso l’interno e tutto cambia. Immense distese dedite all’allevamento, terre lavorate, colline arse e battute dal vento, e splendide chiese. Dalla basilica romanico-pisana di Saccargia a quella in pietra nera di Nostra Signora del Regno di Ardara, dalla reggia nuragica di Santu Antine alla chiesa di San Pietro di Sorres sulla collina di Borutta.
Da citare anche Banari, dove vive Giuseppe Carta, definito dai critici uno dei principali pittori italiani viventi, che spesso nelle sue tele iperrealiste “ritrae” la cipolla di Banari, particolare non solo per la grandezza e il colore rosso lucente, ma soprattutto per il profumo persistente e il gusto delicato dovuto al terreno argilloso in cui è coltivata.
È proprio in queste zone che appare l’animo vero dell’isola che, pur essendo circondata dal mare, con il mare non ha mai avuto buoni rapporti. E anche a tavola il pesce scompare totalmente. Trionfano l’agnello, la capra, la pecora (soprattutto bollita) e il maiale, di cui vengono recuperate e cucinate a puntino tutte le parti commestibili. Spesso le bestie vengono allevate allo stato brado e la carne assume un sapore speciale, di mirto, di ghiande, di corbezzolo e di tutte quelle erbe aromatiche di cui è ricca la flora sarda.
Tra le ghiottonerie: sa cordula, un rotolo di interiora legate con gli intestini e cotte in vari modi; lo zimino di carne, frattaglie di vitella arrosto un tempo cotte sulla griglia di fronte all’uscio di casa; su tattaliu, frattaglie di agnello. Questo piatto, un tempo considerato “da poveri”, oggi viene preparato in occasioni conviviali di ogni genere e per ogni ceto sociale.
Un discorso a parte va fatto per il pane, da sempre così importante nell’alimentazione che in Logudoro, per San Silvestro, il capofamiglia faceva gli auguri a tutti con su càbule (pane a forma di ferro di cavallo) e poi lo spezzava sulla testa dell’ultimogenito. Anche i dolci hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel quotidiano. Gli ingredienti cambiano a seconda delle stagioni e le forme secondo le ricorrenze.
Testo di ORNELLA D’ALESSIO