La tradizione. I “cantori” di Aggius.
Con profonde radici nel passato, Aggius conserva un vasto patrimonio di tradizioni e di cultura popolare: leggende, proverbi, aneddoti, fiabe. La festa patronale, che cade la prima domenica di ottobre, ha ancora un’appendice tutta particolare nella festa di li agghjani (gli scapoli). In quel giorno le danze, sul sagrato del Rosario, hanno luogo la mattina. I riti della Settimana santa, di origine spagnola, le processioni e i funerali sono accompagnati dal canto delle confraternite. Il costume tradizionale, di antico uso, compare nelle feste o per accogliere qualche illustre ospite, indossato dai ragazzi e dalle ragazze del paese. Ma dove la tradizione si mantiene più viva è nel ballo e nel canto. Il primo – a cerchio o a coppie – si esprime nelle forme de la danza, lu baddhittu, lu tre in zincu e lu baddhu a passu. Prima dell’avvento dell’organetto esso era animato da diversi cori che si alternavano. Il canto è stato sempre un momento centrale del vivere civile e religioso di una comunità legata al mondo agro-pastorale e ne ha scandito tutte le manifestazioni pubbliche e familiari. Esso è affidato all’accordo di cinque voci fra cui spicca lu falzittu (la quinta). La sua origine è prevalentemente religiosa: sul tono dello Stabat Mater, del Miserere, del Tibi e delle laudi si sono innestati temi di contenuto profano, opera talvolta di poeti locali quali il tempiese don Gavino Pes e il sacerdote aggese Michele Andrea Tortu. Sicuramente d’origine profana sono invece la Bruneddha e le famose disispirati (canti mattutini in onore dell’amata, dallo spagnolo despertar = svegliare). «Vecchio quanto l’alba» fu definito il canto aggese da Gabriele d’Annunzio allorché un famoso coro partì dal paese, nel lontano 1928, per esibirsi al Vittoriale. Fra quelle voci due sono restate quasi leggendarie per armonia e limpidezza: quelle di Giuseppe Andrea Peru e di Salvatore Stangoni, detto “il Galletto di Gallura”. La rinomanza dei cori e dei canti di Aggius ha superato i limiti nazionali e oggi la tradizione è affidata al coro di Matteo Peru, che la mantiene a livello di fatto culturale autentico. Il dialetto aggese è il gallurese tipico, con la diversità di una parlata più spedita e vibrata, di alcune forme lessicali e con il caratteristico uso fonetico della Z invece della C palatale (tempiese = celu,‘‘ il cielo’’, aggese = zelu). In questo dialetto si sono espressi i numerosi improvvisatori locali per comporre “brindisi”, canti d’amore, di protesta, di spregio. Ma esso ha toccato livelli di alta poesia nei componimenti di preti Mical’Andrìa, Michele Andrea Tortu (1834-1888), sacerdote non sempre ligio al proprio ruolo e portato a vivere i piaceri del canto e della serenata, ciò che gli valse l’interdizione a celebrare messa e il definitivo allontanamento dal paese. Ma il figlio più illustre di Aggius è senz’altro Andrea Vasa, filosofo fra i più insigni del secondo Novecento. Nato nel 1914, morì nel marzo del 1980 mentre teneva un lezione all’Ateneo di Firenze, di cui era professore.