
Niente falò a
Castelsardo, di cui Sant'Antonio è patrono. La festa, preceduta da una novena, è caratterizzata da solenni riti religiosi ai quali partecipano fedeli provenienti anche dal vicino centro di
Sorso e da tutte le diocesi di Ampurias. I riti si celebrano nel duomo cinquecentesco, intitolato al santo, che è in stile aragonese, a forma di croce, con la parte superiore inclinata, nella stessa posizione assunta dal capo di Cristo sulla croce. Questo tempio è l'unico esemplare sardo in cui si conservi quasi tutto l'arredamento ligneo realizzato fra il Seicento ed il Settecento, fatta eccezione per l'altar maggiore e quello della testata destra del transetto, che sono in marmo. Subito dopo la festa ha inizio il carnevale castellanese.
A
Sedilo, nella piazza antistante la chiesa intitolata al santo (le cui strutture semplici attestano che è stata rimaneggiata in diverse occasioni), si accendono due enormi falò: uno nel pomeriggio della ricorrenza ed un altro una settimana dopo. Davanti al fuoco si offrono all'asta dolci, agnellini e porchetti, vino e vernaccia donati da fedeli che in tal modo intendono sciogliere voti. Nella mattinata della festa si ripropone un'antica tradizione: i bambini girano per le case chiedendo dolci tipici locali, e cioè pabassinas e tziricas. Un' altra accensione di falò ha luogo nell'ottava della ricorrenza di Sant'Antonio.
Spirito di competizione anima a
Sarule i vari rioni in ciascuno dei quali si allestisce un falò dalla forma curiosa di cono capovolto, che si ottiene predisponendo in tal guisa i ciocchi di legna. Altra usanza locale è quella dell'offerta un tipico dolce (sospistiddos) a persone di nome Antonio da parte donne che per restare sconosciute portano un panno nero sul viso. Preparare e donare i dolci equivale ad un ringraziamento al santo per grazia ottenuta od attesa. Perciò l'offerta è accompagnata dalla frase: "Sant'Antoni bos cunzedat sa grassia chi ti dimandade" (Sant'Antonio vi conceda la grazia che gli chiedete).
Sant'Antonio è per
Bosa il santo del fuoco e dei porchetti. Anche i bosani realizzano diversi fogulones (il più grosso davanti alla chiesetta intitolata al santo) attorno ai quali molti ripetono l'usanza di effettuare tre giri che, stando alla superstizione, dovrebbero proteggere dal mal di stomaco. Mentre questa consuetudine è praticata dai più anziani, i ragazzi preferiscono girare per le case in una questua che consente di riempire le bisacce di salame, frutta e dolciumi. La ricorrenza dà il via al carnevale. I riti religiosi hanno luogo nel tempio realizzato in stile romanico-arcaico che traspare soprattutto dall'abside. Sorge nell'immediato esterno dell'antica cinta muraria. L'origine della chiesa vien fatta risalire da taluno al 1162; da altri alla seconda metà del XVI secolo.
Ales, dopo molti anni di interruzione, ha riscoperto nei primi anni Ottanta del secolo scorso la tradizione dei falò attorno ai quali la popolazione danza su ballu tundu (il ballo tondo) e consuma il vino raccolto grazie a generose donazioni.
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Siniscola, capoluogo della Baronia, per tradizione secolare i falò sono costituiti, anziché da grossi tronchi, da cataste di ramasinu (rosmarino). A raccoglierlo nelle campagne circostanti sono i giovani che, per una notte intera, alternano la preparazione delle fascine a scorpacciate di agnello e porchetto arrosto ed abbondanti libagioni. Fra i diversi gruppi esiste una sorta di antagonismo: ciascuno spera di recuperare una quantità di rosmarino superiore agli altri. Il giorno successivo le fascine vengono trasportate in paese. Fino agli anni settanta deI secolo scorso il trasporto avveniva con carri agricoli trainati da gioghi di buoi, ormai sostituiti con i trattori. In cima ai carri carichi si issa la "croce di Sant'Antonio" ottenuta in modo rudimentale con due bastoni incrociati. Sulle corna dei buoi (che ancora sono presenti) e nelle estremità appuntite si infìlano arance maturate negli agrumeti circostanti. In piazza le cataste vengono date alle fiamme nella credenza di bruciare le influenze negative della terra così da renderla generosa di prodotti. Come nel passato, le celebrazioni continuano per una settimana. Per tradizione la tuva arde diversi giorni ed il simulacro del santo viene trasferito dalla sua chiesetta realizzata sotto una roccia fino alla parrocchiale davanti alla quale è acceso il fuoco.
Ad
Orosei un enorme falò di frasche (la cui raccolta inizia il giorno dell'Epifania), ammucchiate attorno ad un lungo palo detto "pirone" , viene acceso nel cortile della chiesa di Sant'Antonio. Il tempio risale al Seicento, è in stile pisano e conserva resti di antichi affreschi nelle pareti laterali. Attorno sorgono le cumbessias, abitazioni per i novenanti. Altri falò più piccoli vengono realizzati in diversi punti dell'abitato allo scopo di sciogliere voti. In passato era convinzione diffusa che dall'orientamento del fumo si potessero trarre previsioni sull'annata agraria. Inoltre le ceneri venivano conservate per usi terapeutici. L'origine dei falò sembra risalire al XVII secolo. Nella ricorrenza si distribuiscono dolci locali, in particolare su pistiddu e su pane nieddu. Anche i falò di
Budoni escludono l'uso di alberi, ma sono realizzati con piante di cisto ammucchiate in cataste alte perfino una diecina di metri.
La tuva che si predispone a NorbeIlo in onore del santo è costituita da una grossa quercia recuperata nei boschi circostanti. La scelta cade su un albero cavo che sos sozios (tutti diciottenni) riescono a sradicare solo dopo averlo sfrondato ed aver scavato attorno in profondità. Il tronco (e così anche i rami) viene trascinato fino al paese con un carro tanto pesante che per trainarlo occorrono diversi gioghi di buoi. L'arrivo non passa certo inosservato: ci sono ad attendere le ragazze diciottenni che sventolano is pannelas, scialli legati a canne a mo' di bandiera, ed offrono ai giovani is panischeddas, dolci confezionati con farina e sapa. La quercia viene conficcata a terra nella piazza antistante la chiesa di San Giovanni ed il falò, acceso la sera della vigilia, è alimentato con i rami della quercia. Attorno ad esso la popolazione si accalca per cantare, ballare e svuotare un'infinità di fiaschi di buon vino.
Orgosolo dedica a Sant'Antonio diversi falò, accanto ai quali si balla, e sa vardia, una spericolata corsa equestre. Balli e canti anche a Samugheo, attorno al falò acceso davanti alla chiesa intitolata al santo dove, per l'occasione, si dà convegno tutta la popolazione. A
Dorgali, la sera della vigilia, dopo che i priori hanno deposto i ceri sull'altare, si accende un falò di rosmarino in cima al quale vengono sistemate arance. I ragazzini le recuperano prima che le fiamme divengano tanto alte da impedire di raggiungerle.
Nella ricorrenza i giovani di
Calasetta e
Carloforte salutano l'inizio del carnevale al canto di un ritornello di origine tabarchina (la stessa delle popolazioni dei due centri): "E L'e u di de Sant'Antoniu - l'e u disette de Zenò - Giabéilò, Giabéilò - che l'e u disette de Zenò!" che, a parte l'ignoto signifìcato di Giabéilò (forse Giubilate?), si traduce: "Ed è il giorno di Sant'Antonio - è il diciassette di gennaio - Giabilò, Giabilò - che è il diciassette di gennaio!". Nel pomeriggio escono a frotte le prime maschere che si presentano nelle case di parenti ed amici i quali offrono frittelle e vino. Nella ricorrenza si balla a rundia (il girotondo) e di pomeriggio incominciano a girare per le strade le maschere dei gatti (le più diffuse nei due paesi), ottenute con un lenzuolo che scende fino ai piedi, legato al collo ed in vita con nastri colorati e con due pieghe sul capo a mo' d'orecchie.
A
Cagliari, dopo circa tre lustri di interruzione, nel 1994 è stata riproposta la benedizione degli animali che, però, non ha avuto luogo davanti alla chiesa intitolata al santo, ma nella piazzetta del Sepolcro. Ad organizzarla è stata l'arciconfraternita di Nostra Signora d'Itria che, avendo la sede nella chiesa di Sant'Antonio abate, ha implicitamente la responsabilità di mantener viva questa tradizione. Purtroppo, motivi di sicurezza impediscono di riproporre anche l'accensione del falò, Nella chiesa, invece, si effettua la distribuzione del pane benedetto, anche questa una tradizione molto sentita, e si accendono nella ricorrenza centinaia di candele. Merita di essere ricordata una curiosità tipicamente cagliaritana: il santo in passato era considerato il protettore dell'amore e non poche giovinette nascondevano sotto il proprio letto lucerne di terracotta a sette fiamme chiamate, non a caso, "lucerne di Sant'Antonio",
Falò votivi vengono accesi nei diversi rioni di
Nuoro, ma i maggiori festeggiamenti si svolgono nell'antico rione di Santu Predu dove la sagra è stata riproposta nel 1981 dopo una lunga interruzione. L'organizzazione è affidata ad un comitato a capo del quale è un priore. Dopo la celebrazione della messa e l'accensione del fuoco, nella stessa piazza di Su cuzone si consuma la favata tradizionale.
La vigilia della ricorrenza i bambini di Ardauli si dedicano a sa panizzedda. Pronunciando questa parola si presentano nelle abitazioni dei vicini, dei parenti e degli amici che offrono loro un dolce a forma di ciambella, ancor più apprezzato perché farcito con mandorle, noci e noccioline. I dolci vengono raccolti in sacchetti di stoffa. Altrettanto avviene in molti centri del Barigadu, anche se ci si presenta con un diverso saluto (a Samugheo è sa pedida ed i dolci sono deposti in apposite corbule che i bambini si portano appresso).
Bottida realizza un grande falò nel colle di Campuidda, nei pressi della chiesa secentesca di Santa Maria degli Angeli. Attorno alle fiamme molti compiono sei giri, tre in senso orario ed altrettanti al contrario. Intanto il sacerdote benedice i dolci confezionati dalle famiglie ed il mosto cotto dell'ultima vendemmia.
Con l'avvento del terzo millennio gli abitanti di Ussaramanna hanno abbinato al falò un'antica usanza: l'uccisione del maiale, che impegna l'intera giornata per la lavorazione della carne, la preparazione delle salsicce e la distribuzione di omaggi a parenti, conoscenti e, in particolare, agli anziani del paese. D'obbligo anche il pranzo comunitario e la degustazione di carne arrostita per tutti quelli che si soffermano intorno al falò.