Budoni Situato lungo la strada Statale 125 “Orientale Sarda”, la romana Iter a Portu Tibulis Caralis (per litus orientale), a 36 chilometri da Olbia, a 15 chilometri da Posada, Budoni è l'insediamento più recente della costa nord-orientale della Sardegna: il primo abitante del centro è, infatti, nato nel 1915. In quell'anno tutto l'abitato di Budoni era costituito da una cantoniera dell'ANAS, da un mulino, dalla chiesa di San Giovanni Battista e da poche case di pastori venuti da Buddusò a cercare pascoli invernali nelle brevi pianure cespugliose che separano la Gallura dalla Baronia. La crescita di Budoni, a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, è legata a una vantaggiosa posizione, che ha funzionato da forza centripeta per la popolazione
dei numerosi piccoli villaggi dell'agro a nord di Budoni (Agrustos, Berruiles, Straulas, Strugas) e a sud (Brunella, Limpiddu, Solità, San Pietro, Talavà, Tamarispa, Tanaunella) che danno a questa zona i caratteri originali di quell'habitat disperso che la vicina Gallura è andata perdendo in questi ultimi decenni di crescita tumultuosa del turismo.
Le origini L'ipotesi secondo la quale il toponimo Budoni deriverebbe dall'antico Portus Liguidonis dell'Itinerario antoniniano è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi, alcuni dei quali la respingono argomentando che la distanza che separa Olbia dall'attuale paese di Budoni porterebbe ad escludere che la stazione stradale della strada romana da Tibula a Caralis chiamata Portus Liguidonis (o secondo alcuni codici Luguidonis, Luquidonis) coincida con Budoni; e che il porticciolo si trovasse sul riu Budoni che oggi costeggia il paese e sfocia in mare nella baia di Sant'Anna dove sono presenti i resti di un nuraghe (Su Nuraghe a Mare). Più fondata la spiegazione che fa riferimento alla dizione locale budùne, riconducendo il toponimo alla voce logudorese (b)uda, cioè sala, erba palustre. Appartenente al giudicato di Gallura e alla curatoria di Posada, l'agro budonese conobbe nei secoli XIV e XV l'impoverimento demografico a cui andò incontro tutta la Gallura costiera, dominata dalla malaria ed esposta alle incursioni barbaresche e a periodiche epidemie di peste e di colera in un quadro caratterizzato da una profonda crisi dell'economia agricola inserita in quella più generale che interessava tutta l'Europa. Del regresso demografico e della desertificazione delle campagne galluresi del secolo XVI dà conto, nella parte dedicata alle diocesi di Civita e Galtellì, lo storico del Cinquecento Gian Francesco Fara che nella sua opera geografica (Chorographia Sardiniae) parla della «vasta distesa delle deserte campagne» («agrum longe lateque vacantem»). La ripresa demografica della Gallura comincia a profilarsi a partire dal secolo XVIII: le spopolate zone costiere della Gallura settentrionale e orientale acquistano progressivamente popolazione, proveniente da alcuni centri dell'interno e dalla Corsica. In più «nell'agro budonese – afferma lo storico olbiese Dionigi Panedda – si rileva una terza corrente migratoria. Proveniente in massima parte da Buddusò ha interessato la costa, le intermedie zone interne di Berchiddeddu (dove si sono stanziati anche molti galluresi) e di Padru».
Ma una quarta corrente migratoria dovette mettersi in moto nel corso dell'Ottocento, quando il territorio di Budoni (frazione di Posada) venne ad assumere la fisionomia che in parte conserva ancora oggi con le ventitré piccole frazioni che fanno da corona a Budoni.
Il paese La cittadina, cresciuta lungo la direttrice segnata dalla strada statale 125, l'importante arteria che collega Cagliari con Palau, diviene comune autonomo nel 1959. Lo sviluppo turistico è arrivato nel corso degli anni Settanta. Tra il 1971 ed il 1981 il numero delle abitazioni non occupate (in gran parte seconde case per le vacanze) è cresciuto del 308%. La forma e la morfologia del centro riflettono questo tipo di crescita: le grandi case nuove non hanno più niente in comune (né lo stile, né il materiale, né i colori) con le semplici case degli antichi villaggi della Gallura. In esse è ben visibile invece l'influsso delle banali tipologie mutuate dalla più corrente moda architettonica diffusa nei villaggi turistici mediterranei di recente costruzione. Le case, i ristoranti, gli alberghi, i negozi che si affacciano sulla strada principale testimoniano del benessere che il turismo ha diffuso nella zona. Budoni ha visto gradatamente crescere la sua popolazione negli ultimi decenni.
L'economia L'incremento negli ultimi decenni del tasso di attività e il drastico calo della popolazione addetta all'agricoltura attestano delle trasformazioni che il turismo ha portato nell'economia della zona, in cui però il turismo non è ancora il settore prevalente, come dimostrano altri indicatori dello sviluppo. Accanto al turismo (in cui è presente una vivace imprenditoria locale) e ad un terziario in sviluppo sopravvive intatta una agricoltura assai prospera che ha addirittura sottratto terreno al pascolo (il 44% del suolo coltivabile è occupato da seminativi, il 6,8% dalle colture legnose, olivo e vite) e che lega alla terra una parte consistente della popolazione; gli stazzi, che nella vicinissima Gallura sono pressoché scomparsi, resistono qui accanto ai villaggi turistici che si rincorrono tra San Teodoro e Budoni e conferiscono un aspetto del tutto originale al suo territorio.
La cultura e le tradizioni La particolare posizione geografica “di confine” tra la Gallura e la Baronia, così come le vicende storiche dei villaggi dell'agro budonese che facevano parte nel Medioevo della curatoria di Posada e della diocesi di Civita (Terranova-Olbia) e, successivamente, della Baronia di Posada e della diocesi di Galtellì, hanno singolarmente e curiosamente segnato i costumi, i modi di vita, il dialetto. Se nei villaggi al confine della Gallura si parla il gallurese, in quelli al di là di Budoni prevale il logudorese. Qui li saldi, dall'altra parte sos corsesos. Nel giro di pochi chilometri si trasforma radicalmente anche il modo di fare il pane: lu coccu dei galluresi non ha niente a che fare con su pane carasau di li saldi all'interno della Sardegna. Così pure radicalmente diverse erano le tradizioni e le usanze di momenti più importanti della vita sociale della comunità: la nascita, il matrimonio, la morte. Soltanto in alcuni villaggi, ad esempio, era diffusa fino a pochi anni fa la gentile e complicata usanza gallurese che è la pricunta, una lunga, seria, argomentata, straordinariamente suggestiva discussione tra lo sposo (all'affannosa ricerca di una “colomba” o di una “agnellina” perduta) e i parenti della sposa in ansiosa attesa nella casa dei genitori. Né li saldi seguivano la consuetudine diffusa tra i più facoltosi dei galluresi di uccidere, in occasione della morte di un congiunto, un capo di bestiame per la multàsgia, il pranzo da offrire a parenti e amici il giorno dei funerali. Soltanto all'anniversario della morte veniva uccisa una bestia, la cui carne andava distribuita tra i poveri della zona (sa limosina). “Sardi” e “galluresi” si ritrovano però tutti insieme in occasione delle numerose sagre locali che si susseguono in primavera nei villaggi più piccoli; ma soprattutto nella festa “grande”, quella che fino a pochi anni fa segnava per quasi tutti la data di inizio dell'annata agraria e che ora chiude il periodo più movimentato della stagione turistica di alberghi e ristoranti: la festa di san Giovanni Battista, che si svolge il 29 agosto di ogni anno.