La prima volta di Garibaldi Il 25 settembre 1849 giunge per la prima volta a La Maddalena Giuseppe Garibaldi, ormai cittadino non gradito sul suolo italiano al pari del suo eroico collaboratore maddalenino Gian Battista Culiolo detto il “maggior Leggero”, dopo la caduta della Repubblica Romana, la fuga e la morte di Anita. Respinto dal Bey di Tunisi, respinto dalle autorità di Cagliari, per motivi di pubblica sicurezza lo conduce nell’isola il maddalenino Francesco Millelire, comandante del Tripoli, dopo aver chiesto le dovute autorizzazioni preventive. Garibaldi si ambienta bene e fraternizza con la gente, andando a vendemmiare con la famiglia Susini. Un mese dopo, il 24 ottobre, egli viene però imbarcato sul piroscafo Colombo, per essere trasferito a Gibilterra e da qui a Tangeri. Lascia al sindaco una lettera di ringraziamento per la straordinaria accoglienza ricevuta dalla cittadinanza. Si rifarà vivo nel 1855, al termine di uno dei suoi viaggi di piccolo cabotaggio, accompagnato dai soliti amici isolani e inglesi residenti in città, al ritorno da una battuta di caccia nel promontorio di Capo Testa, sulla costa gallurese, dove il generale aveva intenzione di mettere radici. Dissuaso dai maddalenini per i rischi che si potevano correre a dormire la notte in una campagna percorsa da banditi, gli si propone l’acquisto di un appezzamento di terra a Santo Stefano, e quindi, risultata troppo vicina a La Maddalena quest’isola, gli si prospetta, in alternativa, un lotto nell’isola di Caprera, che già aveva conosciuto, dove risiedono ormai i Collins. Effettuato un veloce sopralluogo, Garibaldi firma una delega al suo amico Pietro Susini perché si adoperi nell’acquisto del lotto. Nel 1855 La Maddalena ha una popolazione di circa 1901 abitanti, di cui una trentina sono pescatori, una quarantina commercianti, 35 tra agricoltori e pastori, 26 artigiani (falegnami, muratori, scarpari, mastri ferrari), 3 becchini, un bigliardiere, una locandiera, 300 marinai della Regia Marina. I rimanenti sono pensionati statali, madri di famiglia, signorine e ragazzini in attesa del primo imbarco e ovviamente militari. La vita scorre serena, nell’arcipelago, scossa soltanto dal naufragio della fregata francese di primo rango La Sémillante sulla secca dell’isola di Lavezzi, di fronte al faro di Razzoli, che provoca la morte di circa 700 soldati diretti in Crimea, i cui cadaveri, per mesi, verranno depositati dal mare nelle più settentrionali cale dell’arcipelago. Il fatto che Garibaldi abiti Caprera, ospitandovi per giunta i suoi più fedeli seguaci, dall’eroico “Leggero” allo spretato Luigi Gusmaroli, maddalenino di adozione, a Froscianti, a Basso e a tanti altri, produce, come effetto immediato, un ritorno di immagine a livello nazionale e internazionale per l’isola e per l’arcipelago, fino a quel momento del tutto insperato. La stessa Marina Regia che, morto Des Geneys probabilmente stava già pensando a Livorno come sua base principale, e quindi a un silente progressivo abbandono di questi approdi, si sente come colta in contropiede.

Un esercito di scalpellini In questi anni l’economia locale si orienta, nella latitanza degli investimenti governativi, sulla marina mercantile, sulla pesca, su pochissima agricoltura e sull’estrazione dalle cave di Cala Francese di un granito che risulta essere il più resistente e il più compatto al mondo, ma, proprio per questo, il più duro da lavorare. Nel 1870 il lavoro degli scalpellini, per quanto spossante, diventa più frenetico. Sono già in corso alcuni grandi lavori per ammodernare il centro cittadino e la Banca di Costruzioni di Genova rileva la concessione per lo sfruttamento delle cave, richiamando in loco gli abili maestri tagliatori della Toscana, dell’Emilia e della Liguria. Nel giro di poche decine di anni il granito lavorato inizia ad essere esportato nel continente italiano, e successivamente all’estero, dall’Egitto al Brasile, dagli Stati Uniti a Panama… Si apre una gloriosa cava, in seguito, anche a Santo Stefano e si scopre che per chi ha voglia di lavorare e conosce il mestiere dello scalpellino, a La Maddalena il lavoro non manca. La popolazione è di 1724 persone con dimora stabile al momento del censimento. A questo numero si devono aggiungere 190 lavoranti non ancora residenti e un numero imprecisato di persone imbarcate.
Un’isola-fortezza Nel 1881 il governo decide di potenziare le opere di difesa marittima dell’arcipelago con un sistema di fortificazioni a tiro incrociato, che Garibaldi non avrà modo di apprezzare, perché morirà a Caprera il 2 giugno 1882. La salma dell’Eroe dei Due Mondi verrà imbalsamata e sistemata in un sarcofago di granito, nel piccolo cimitero di famiglia, attiguo alla casa-fattoria. La popolazione residente è, adesso, di 1895 unità, con una emorragia migratoria di circa 200 persone, che attestano un disagio o comunque una insicurezza occupativa per gli alti e i bassi della Marina militare. Nel 1888 le nuove lavorazioni militari sono affidate al Genio Marina, che dirige un nucleo di galeotti condannati ai lavori forzati in quest’isola , nonché una squadra di operai specializzati di una officina polivalente ubicata a fianco degli stabilimenti della “Disciplina” di Moneta. Nel 1891 ci si rende conto, a livello governativo, che queste maestranze possono costituire il primo nucleo di un pur necessario Arsenale militare, che presto arriva a contare 351 dipendenti: 200 detenuti, 151 operai specializzati in costruzioni e in messa a punto di meccanismi di precisione per l’artiglieria. Il numero degli abitanti sale vertiginosamente a 6798 unità, di cui 4648 civili e 2150 tra militari e detenuti nella colonia penale. L’economia tira e i maddalenini riscoprono il piacere di essere tutt’uno con la Regia Marina, mentre crescono le nuove fortificazioni. In funzione di queste nuove opere, nasce la diga-ponte tra La Maddalena e Caprera, sorgono banchinamenti, edifici per il Comando, caserme, alloggi per gli ufficiali, per la truppa e viene ampliato il numero dei capannoni e dotato di Palazzina Comando anche il cantiere navale. Tutte le strutture militari vengono collegate con strade carrozzabili, impianti fognari e idrici, che presto coinvolgeranno in una progressiva opera di risanamento igienico l’intero paese. La popolazione cresce nel 1901, raggiungendo le 8361 unità. Nel 1907, in occasione del centenario della nascita di Garibaldi, la cittadinanza vuole ricordarlo inaugurando una monumentale colonna nella piazza XXIII Febbraio, dove in precedenza sorgeva una piramide, con in cima una palla di cannone inesplosa, lanciata da Napoleone su La Maddalena. Nel 1910 i forzati vengono aboliti e sostituiti con altrettanti operai. La Maddalena è ormai la mecca della Gallura e della provincia: giungono maestranze dai più svariati paesi dell’interno. Nel 1911 si superano i 10.000 abitanti (esattamente 10.184 secondo i dati del censimento, ma 11.154 per chi rielabora i dati, forse comprendendo le nuove presenze militari, registrate al momento della divulgazione dei dati, quindi oltre un anno dopo).
La “Piccola Parigi” Quando scoppia la Prima guerra Mondiale le cave di granito danno lavoro complessivamente ad un migliaio di scalpellini: quanti, se non di più, di coloro che sono impiegati nelle lavorazioni dell’Arsenale militare, sorto e consolidatosi presto in funzione delle opere di fortificazione e del piccolo naviglio di stanza nell’arcipelago. Si sviluppano le associazioni di mutuo soccorso, già nate negli anni ’70, e contestualmente, con i grandi lavori militari, si irraggia la Loggia massonica dedicata a Giuseppe Garibaldi. La militanza in questi “schieramenti” equivarrà a una orgogliosa autoghettizzazione, con ripercussioni in una vita politico-amministrativa sempre più rissosa, anche se di livello piuttosto elevato, rispetto alla media regionale e nazionale, in analoghi contesti. È questo il momento di massimo splendore della “Piccola Parigi” – come la cittadinanza amava definire l’isola di La Maddalena fin dalla fine dell’Ottocento – con elevata qualità di servizi e infrastrutture rispetto al resto della Sardegna e del Meridione, con analfabetismo praticamente assente e una disoccupazione vicina allo zero. I maddalenini, dopo quasi 150 anni di storia al servizio della Regia Marina, si sentono sicuri e protetti, affetti, per questo, da un evidente complesso di superiorità nei confronti del circondario gallurese e del resto della regione. L’ avvento del fascismo, con la progressiva corsa al potenziamento delle opere di difesa, è visto di buon grado da La Maddalena, dove da sempre “riarmo” equivale a ulteriore incremento dei posti di lavoro, benessere sociale e prestigio. I maddalenini, infatti, fino ad ora, hanno vissuto molto da lontano le guerre per l’unità d’Italia, quella del 1866 e quella del 1915-18 I molteplici contributi di eroismo di tanti maddalenini si sono sempre convertiti in nobili decorazioni al valor militare, ma a parte quelli di Domenico Millelire, di Cesare Zonza e di Tomaso Zonza, tutti gli altri si sono registrati in guerre molto lontane dall’isola. In altri termini i maddalenini producono per la guerra, al soldo della Regia Marina che esporta lontano armi, uomini e mezzi. Nel 1921 la popolazione scende a 10.301 unità, a motivo della riduzione del contingente militare. Viene intanto prendendo consistenza, a partire dagli anni ’30, in campo mondiale, l’aeronautica militare, che sperimenta fortezze volanti con sempre maggiore autonomia di volo e capacità di trasporto di bombe, per cui tranquillità non ce ne sarà più per nessuno. La propaganda fascista millanta che le fortezze militari dell’arcipelago, adeguatamente armate, proteggeranno i cieli dell’isola dalle incursioni aeree nemiche, ma è destinata ad essere presto clamorosamente smentita. La gente comunque dimostra di credere alla martellante propaganda governativa della massima sicurezza, perché nel 1931 a La Maddalena ci sono 12.124 persone; la popolazione aumenta anche perché il fascismo appalta gli imponenti lavori per la costruzione del civico acquedotto, il 28 giugno. L’acqua che nei prossimi anni giungerà nelle fontanelle e dentro casa eleva ulteriormente il livello delle famiglie isolane e i relativi investimenti di fiducia nel regime. Si marcia senza pensieri verso un riarmo evidente, perché, come sempre, con i venti di guerra la città prospera. Nel 1936 si registra un’apparente contrazione, demografica, dovuta soltanto al fatto, però, che l’istituto di statistica nazionale emana nuove regole, non facendo più computare nel novero dei residenti i militari di altri comuni presenti sul territorio per l’espletamento del servizio di leva.
Mussolini a Villa Webber Nel 1943, tra il 10 aprile e il 15 settembre, diversi bersagli sensibili dell’arcipelago vengono centrati più volte da incursioni aeree alleate; a novembre, dopo il sofferto armistizio, si fanno vivi gli aerei tedeschi. La contraerea non riesce ad evitare affondamenti, distruzioni, morti e feriti. Inoltre, subitodopo l’8 settembre, una vera e propria battaglia, tra reparti italiani e tedeschi, si svolge tra il Colle della Crocetta e il Colle di Peticchia, attraversando strade e piazze centrali dell’isola. Tra il 7 e il 27 agosto, trasferito a La Maddalena dall’isola di Ponza, ha assistito in stato di detenzione ad alcune scorribande aeree l’ex duce del fascismo Benito Mussolini, che dimora nella ben munita Villa Webber, prima di essere trasferito al Gran Sasso. Quando le armi tacciono e si seppelliscono i morti, l’isola mostra evidenti i segni della guerra. Gli sfollati fanno ritorno a casa e comprendono che qualcosa, tra la Marina militare e La Maddalena, si è rotto per sempre. A guerra finita la Francia infligge il colpo di grazia alle speranze residue di ripresa economica: il trattato di pace impone lo smantellamento delle fortezze dell’arcipelago e allontana il naviglio pesante da guerra dalle sue coste. L’Arsenale militare è condannato a morte. Tra scioperi, proteste popolari, mobilitazioni a livello anche provinciale e regionale, l’agonia si trascina nel tempo e ciò consente che la crisi economica risulti meno drammatica.